I neutrofili sono i globuli bianchi maggiormente presenti nel sangue e il nome li descrive: queste cellule infatti, se sottoposte a particolari colorazioni (istologiche) in laboratorio, rimangono neutre. Inoltre, il loro ruolo è quello di “neutralizzare” i batteri e altri corpi estranei, evitandone la diffusione nell’organismo.
«Attraverso un processo chiamato fagocitosi, i neutrofili riescono a inglobare i microrganismi patogeni e poi liberano degli enzimi capaci di distruggere e digerire gli invasori», descrive la dottoressa Roberta Caporale, biologa del Laboratorio di Analisi dell’Ospedale Santa Maria di Bari. Sono noti anche come granulociti neutrofili, perché al loro interno contengono dei granuli, visibili al microscopio ottico, che contengono proprio gli enzimi caratteristici.
Perché i neutrofili possono aumentare nel sangue?
Cosa sono i neutrofili
I neutrofili rappresentano la popolazione più numerosa fra i globuli bianchi (circa il 55-70 per cento del totale), ma con grandi variazioni individuali: è per questo che i valori normali prevedono un intervallo piuttosto ampio. Ogni giorno il midollo osseo ne produce circa 100 miliardi, perché i neutrofili hanno una vita limitata a circa 7-10 ore nel sangue e di pochi giorni nei tessuti.
«Sono tra le prime cellule dell’organismo a raggiungere il luogo di una lesione che causa infiammazione. E lo fanno nell’arco di pochi minuti», racconta l’esperta. «A quel punto, cercano di catturare e distruggere l’agente considerato responsabile dell’emergenza e talvolta, in quella sede, si forma un essudato giallognolo, noto come pus, che è proprio un accumulo di neutrofili morti e di un liquido proteico».
La formula leucocitaria, cioè l’esame che consente di ottenere una conta differenziale dei globuli bianchi, è parte dell’esame emocromocitometrico, pertanto viene generalmente richiesta nell’ambito di un controllo clinico di base.
Perché i neutrofili possono aumentare
Solitamente ciascuno di noi ha a disposizione tra i 1500 e i 7000 neutrofili per millimetro cubo di sangue: se i valori superano il valore massimo, considerato normale, si parla di neutrofilia.
«Questi globuli bianchi sono fra i primi a rispondere in caso di infezioni batteriche, quindi le cause più comuni di un loro rialzo possono essere polmoniti, tonsilliti, ascessi o altre condizioni legate a un batterio», spiega Caporale. «Ma i neutrofili sono considerati anche un importante indice infiammatorio, perché possono aumentare rapidamente in caso di infiammazioni non di origine infettiva, come quelle dovute a ictus, disturbi alle coronarie, ustioni, appendicite acuta, tumori, artrite reumatoide o malattie infiammatorie croniche intestinali».
Secondo un medico e divulgatore scientifico americano, il dottor Michael Greger, un aumento dei neutrofili è riscontrabile anche nella popolazione sana a causa di un’infiammazione cronica di basso grado, un processo silente e asintomatico dovuto a cattivi stili di vita, caratterizzati da elevati livelli di stress psicofisico, sedentarietà e dieta sbilanciata.
«Una neutrofilia moderata e temporanea si può riscontrare poi in alcune circostanze particolari, come durante la gravidanza o in seguito al parto, nel periodo mestruale oppure dopo uno sforzo muscolare intenso, un intervento chirurgico, un’intossicazione alimentare, l’esposizione a uno sbalzo termico o l’assunzione di alcuni farmaci», aggiunge l’esperta.
Cosa fare in caso di neutrofili alti
Riscontrare un rialzo dei neutrofili nelle comuni analisi del sangue non ha alcun valore diagnostico, perché la neutrofilia va poi indagata sulla base dei sospetti clinici. «Il medico deve riconoscere segni e sintomi nel paziente, che dipendono naturalmente dalla zona colpita da un’eventuale infezione o patologia», commenta Caporale.
Visto il loro legame con l’infiammazione sistemica, spesso i neutrofili vengono monitorati per valutare l’andamento di una malattia o la risposta a un preciso trattamento farmacologico: in particolare, si è dimostrato utile (anche in epoca di Covid-19) il rapporto neutrofili-linfociti (NLR), considerato un biomarcatore dell’infiammazione sistemica e un fattore prognostico per la sopravvivenza globale dei pazienti oncologici. A grandi linee, un NLR normale è di circa 1-3, tra 6 e 9 si parla di rischio lieve, mentre oltre i 9 si è in condizione di patologia critica.
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