Ogni giorno, dall’alimentazione, il nostro corpo trae preziosi nutrienti e spesso li trasforma in altre sostanze, di cui ha bisogno per funzionare bene. È il caso della metionina, un amminoacido essenziale presente negli alimenti proteici come latticini, carne, legumi o uova, che l’organismo converte in omocisteina, un altro amminoacido presente nelle cellule in piccole quantità.
«A regolare questo processo sono degli enzimi e alcune vitamine, come la B6, la B12 e l’acido folico: la conseguenza è che i soggetti carenti di questi micronutrienti possono presentare un aumento di omocisteina nel sangue», spiega il dottor Stefano Urbinati, cardiologo e direttore del Dipartimento della Rete Medico Specialistica Ospedaliera e Territoriale - Azienda USL Bologna.
Qual è la conseguenza? «Negli studi epidemiologici si è osservato che questo rialzo può comportare un aumento del rischio cardiovascolare, perché l’omocisteina è in grado di danneggiare le pareti dei vasi sanguigni, modificandone struttura e funzionalità».
Perché l'omocisteina è un fattore di rischio
Fino agli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, non erano noti i meccanismi alla base di infarto e ictus, per cui si è andati alla ricerca di caratteristiche comuni ai pazienti che avevano avuto un evento cardiovascolare per trovarne una causa.
«Per esempio, si scoprì che l’incidenza di infarto era minore nelle aree geografiche in cui si seguiva la dieta mediterranea rispetto alle zone del nord Europa o degli Stati Uniti, dove si consumavano più grassi saturi», racconta il dottor Urbinati. Ne derivò l’identificazione dei principali fattori di rischio cardiovascolare, ovvero diabete, ipertensione e colesterolo alto, insieme al fumo di sigaretta.
«Con il passare del tempo, poi, gli studi si sono perfezionati e sono stati identificati nuovi fattori di rischio cardiovascolare», ricorda l’esperto. «Fra le altre cose, i ricercatori scoprirono che l’omocistinuria, una malattia genetica rara caratterizzata dall’incapacità di metabolizzare l’omocisteina, conduceva spesso a eventi cardiovascolari precoci, per cui si iniziò a dosare questo amminoacido in tutta la popolazione. Il risultato fu subito chiaro: chi presenta elevati livelli di omocisteina nel sangue corre un maggiore rischio di avere un ictus o un infarto».
Omocisteina alta, cosa succede ai vasi sanguigni
Approfondendo il tema, si scoprì che questo amminoacido può determinare un danno endoteliale, cioè sulla parete interna dei vasi sanguigni, dove viene favorito l’accumulo di colesterolo “cattivo” in pericolose placche aterosclerotiche, con tutte le loro conseguenze.
«Tra l’altro l’omocisteina può contribuire a infiammare quelle placche, rendendole più soggette alla rottura e, quindi, alla formazione di trombi, che possono determinare l’infarto miocardico, oppure di emboli che possono chiudere un’arteria cerebrale provocando un ictus», illustra il dottor Urbinati.
Quando preoccuparsi se l'omocisteina è alta
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, l’omocisteina si considera alta quando la sua concentrazione nel sangue è superiore a 13 micromoli per litro (μmol/L) negli uomini adulti, a 10,1 μmol/L nelle donne e a 11,3 μmol/L nei ragazzi di età inferiore ai 14 anni.
«Oggi sappiamo che questo dato va sempre valutato insieme a quelli degli altri fattori di rischio come colesterolo, trigliceridi, glicemia, acido urico e ipertensione arteriosa», descrive Urbinati.
Cosa fare con l'omocisteina alta
Esistono in commercio degli integratori combinati di vitamina B6, B12 e acido folico che hanno dimostrato di abbassare i valori di omocisteina. Il problema è che non sempre il risultato è quello atteso: «A metà degli anni Duemila, due studi pubblicati sul New England Journal of Medicine, denominati Hope 2 e Norvit, hanno cercato di verificare se questa supplementazione fosse in grado di ridurre le probabilità di un evento cardiovascolare maggiore nei pazienti ad alto rischio», riferisce il dottor Urbinati.
«Lo studio norvegese Norvit non soltanto ne ha smentito il vantaggio, ma ha addirittura registrato un aumento, seppure non significativo, del rischio di eventi cardiovascolari nei pazienti trattati. Neppure lo studio Hope 2 ha convinto il mondo scientifico: per quanto riguarda la morte per cause cardiovascolari e infarto del miocardio, il rischio non è diminuito in modo significativo nel gruppo che aveva ricevuto il “cocktail” di acido folico e vitamine».
Ulteriori studi hanno confermato questi risultati, per cui la conclusione attualmente condivisa dal mondo scientifico è che non esiste un’indicazione ad assumere queste vitamine per prevenire ictus e infarto.
Il ruolo della dieta
Detto ciò, per aumentare naturalmente i livelli di vitamina B6, B12 e acido folico, possiamo agire sulla dieta. Non esiste un solo alimento “completo” che contenga tutti questi nutrienti nella giusta quantità, di conseguenza il modo più semplice e sicuro per garantircene l’apporto in misura adeguata è variare il più possibile le scelte in tavola, seguendo una dieta equilibrata. Le vitamine del gruppo B e i folati sono presenti soprattutto nel pesce, nella carne, in frutta e verdura, nelle uova e nei latticini.
«Anche in questo caso, però, è giusto ammettere che nessuno studio scientifico ha dimostrato che una dieta ricca di vitamina B e folati sia in grado di ridurre gli eventi cardiovascolari a fronte di una diminuzione dei valori di omocisteina», tiene a precisare l’esperto. «In definitiva, pur sapendo che l’iperomocisteinemia rappresenta un fattore di rischio cardiovascolare, non ci sono evidenze scientifiche in merito al fatto che, correggendolo, si riducano gli eventi avversi».
Omocisteina alta: il legame con il decadimento cognitivo
Un’ultima considerazione: il rialzo dell’omocisteina nel sangue sembra rappresentare un fattore di rischio anche per le patologie neurodegenerative, come la demenza. Tuttavia, anche in questo caso, non ci sono dimostrazioni che abbassare i valori di omocisteina prevenga o rallenti il decadimento cognitivo.
Ma allora, in definitiva, trovare un valore elevato di omocisteina nelle proprie analisi del sangue deve allarmare oppure no? «Tutto va sempre contestualizzato e discusso con uno specialista o con il proprio medico di base, perché questo rilievo deve essere interpretato come la spia di un rischio cardiovascolare aumentato, piuttosto che come un valore da trattare singolarmente», conclude il dottor Urbinati.
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