Quando mangiamo, i carboidrati vengono scomposti in sostanze più semplici, tra cui il glucosio, la nostra principale fonte di energia. A quel punto, la glicemia aumenta nel sangue e stimola il pancreas a rilasciare insulina, un ormone che aiuta lo zucchero in circolazione a entrare nelle cellule, in modo da ricavarne energia.
Quando tutto va per il verso giusto, la quantità di zucchero nel sangue si riduce progressivamente e, di riflesso, diminuisce anche la quantità di insulina rilasciata. Può accadere, però, che i tessuti non riescano a rispondere all’azione dell’insulina, per cui i livelli di glucosio nel sangue aumentano, inducendo le cellule β del pancreas a produrre altra insulina.
Il risultato è una condizione di iperglicemia e iperinsulinemia, definita insulino-resistenza, definibile come l’incapacità delle cellule di rispondere all’insulina, impedendo al glucosio di entrare al loro interno per produrre energia.
Cos'è l'Homa Index
«A stimare in maniera grossolana l’insulino-resistenza è l’Homa Index, un calcolo matematico messo a punto nel 1985 da un gruppo di ricercatori dell’Università di Oxford», racconta il professor Angelo Avogaro, presidente della Società italiana di Diabetologia. «Non si tratta di un esame di routine, perché viene impiegato soprattutto nell’ambito di ricerche cliniche condotte su un’ampia coorte di individui, senza dover ricorrere a test più sofisticati».
Raramente viene prescritto dai medici di base e dagli specialisti, perché l’insulino-resistenza si può ipotizzare anche senza test diagnostici in presenza di alcune condizioni (come l’obesità o il diabete), segni clinici (come l’acantosi nigricans, dove la pelle assume un aspetto annerito tipicamente a livello delle pieghe cutanee, ovvero collo, ascelle e inguine) o campanelli d’allarme (come l’aumento dei trigliceridi nel sangue e la diminuzione del colesterolo HDL, quello buono).
Quando è utile l'Homa Index
L’Homa Index risulta inutile nei soggetti diabetici, perché alcuni dei trattamenti assunti da questi pazienti per controllare i livelli di glicemia nel sangue aumentano la secrezione insulinica, per cui il calcolo matematico risulterebbe sfalsato. «Questo dosaggio ha senso in assenza di interferenze farmacologiche», tiene a precisare il professor Avogaro.
Al contrario, l’Homa Index può risultare utile nel caso di una giovane donna con amenorrea (assenza del ciclo mestruale), in sovrappeso (soprattutto a livello viscerale) e con un’eccessiva e anomala crescita di peluria sul volto: «In tal caso, calcolare il rapporto fra glicemia e insulina a digiuno può risultare utile per diagnosticare la problematica di base», suggerisce l’esperto. «Nella popolazione generale, invece, ha poco senso dosarlo».
Perché va monitorata l’insulino-resistenza
In alcuni pazienti, la continua sollecitazione fatta al pancreas affinché produca nuova insulina può “sfiancare” le cellule β, riducendo progressivamente la loro attività e aprendo la strada al diabete di tipo 2.
«Anziché affidarsi all’Homa Index, questo rischio si può tenere sotto controllo con altre indagini di laboratorio, come l’insulinemia, l’emoglobina glicata o la classica glicemia», evidenzia il professor Avogaro.
Esiste anche un test poco conosciuto, detto Retinol binding protein, che dosa una proteina plasmatica appartenente alle α1-globuline e prodotta dal fegato, i cui livelli elevati potrebbero rappresentare un primo segnale d’allarme per l’insulino-resistenza, soprattutto in epoca giovanile.
Cosa fare
Se dall’Homa Index o dagli altri esami del sangue più diffusi e accurati emerge una condizione di insulino-resistenza, bisogna correre ai ripari. Come?
Tre sono le principali regole:
- seguire un’alimentazione sana. Vanno scelti alimenti a basso contenuto di grassi saturi, a ridotto indice glicemico, poveri di calorie e ricchi di fibre, come frutta, verdura e cereali integrali;
- praticare più attività fisica. È sufficiente un modesto esercizio quotidiano, che può consistere in circa 2000 passi (poco più di un chilometro al giorno), meglio ancora dopo aver mangiato;
- tenere sotto controllo il peso corporeo. Qualora i chili di troppo siano eccessivi, è fondamentale rivolgersi a uno specialista della nutrizione per ricevere consigli personalizzati.
«Qualora poi la condizione sia grave, lo specialista potrebbe prescrivere della metformina a basse dosi, un farmaco ipoglicemizzante per via orale usato nel trattamento del diabete di tipo 2», spiega il professor Avogaro. «Prima, ovviamente, bisogna indagare a fondo le cause dell’insulino-resistenza: per esempio, se di fondo c’è una patologia endocrina, va risolta questa».
Come prevenire il problema
È bene ricordare che il diabete non esordisce da un momento all’altro: i valori di glicemia sono considerati normali fino a 99 mg/dl, mentre la diagnosi di diabete arriva sopra i 126 mg/dl. Nella fascia intermedia si parla di pre-diabete, una condizione dove i livelli di zucchero nel sangue sono più alti del normale ma c’è ancora la possibilità di invertire la rotta, evitando di evolvere nella patologia conclamata o per lo meno ritardandola di qualche anno.
«Effettuando dei controlli periodici, quella fase evita di passare inosservata, visto che raramente è accompagnata da segni clinici: nella maggior parte dei casi, il paziente è del tutto asintomatico e quindi non ritiene importante eseguire esami specifici o sottoporsi a modifiche dello stile di vita», avverte l’esperto.
Peccato che, alla lunga, quella condizione silente sia già in grado di danneggiare diversi tessuti del corpo, in particolare vasi sanguigni, nervi, occhi e reni, predisponendo a ipertensione, aterosclerosi, infarti, ictus, neuropatie periferiche, retinopatie o nefropatie. «Ecco perché il monitoraggio periodico è un’efficacia arma di prevenzione», conclude Avogaro.
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