Elettroforesi sieroproteica: cosa significa e quando preoccuparsi

È l’esame più utilizzato per diagnosticare o monitorare eventuali patologie legate alla perdita o all’alterata produzione di proteine. Quando è utile e come leggere i risultati



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L’elettroforesi sieroproteica è un metodo qualitativo e semi-quantitativo di separazione delle proteine presenti nel torrente circolatorio. Al campione ematico viene applicato un campo elettrico, che suddivide le proteine per tipologia: ciascuna di esse, infatti, si muove con una differente velocità, dipendente dalla carica, dalla dimensione e dal peso che la caratterizzano, per cui si separa dalle altre. Dall’osservazione del risultato strumentale, i professionisti di laboratorio possono identificare la presenza di proteine anomale oppure una quantità maggiore o minore di un certo gruppo di proteine rispetto alla norma.

«L’elettroforesi sieroproteica viene richiesta sempre più spesso sia per i pazienti ospedalizzati sia per quelli ambulatoriali nei normali controlli periodici, soprattutto in età adulta, perché può far emergere malattie ancora silenti», spiega la dottoressa Morena Zuppel, referente della sezione di Patologia clinica del servizio centrale di Medicina di laboratorio dell’IRCCS Maugeri di Pavia, diretto dalla dottoressa Antonella Navarra. «Tra l’altro, è un esame veloce, poco costoso e facilmente accessibile».

Cos’è l’elettroforesi sieroproteica

L’esame consente di studiare le principali classi di proteine plasmatiche, ovvero l’albumina (che rappresenta circa il 60% delle proteine del sangue) e le globuline, un gruppo eterogeneo di proteine prodotte sia dal fegato sia dal sistema immunitario (alfa1-globuline, alfa2-globuline, beta1-globuline, beta2-globuline e gamma-globuline).

Oltre a essere stimata la concentrazione delle singole frazioni proteiche (per cui sul referto troveremo dei valori in percentuale, affiancati dai relativi range di normalità), queste sono anche “rappresentate” graficamente in un tracciato, attraverso picchi e curve (protidogramma).

«Il risultato è un modello caratteristico di “bande di migrazione” di diversa ampiezza e intensità, corrispondenti alle frazioni proteiche presenti», evidenzia la dottoressa Zuppel. «È importante osservare il tracciato per evidenziare eventuali anomalie e disprotidemie, che vengono indicate nel referto sotto forma di commenti».

A cosa serve l'elettroforesi sieroproteica

L’elettroforesi sieroproteica è un esame di laboratorio già utilizzato in passato per stimare la concentrazione delle proteine del sangue maggiormente rappresentate: oggi, grazie alla rapida evoluzione delle tecnologie di laboratorio, esistono metodi sempre più specifici.

«Su queste basi, l’elettroforesi è diventato l’esame di laboratorio di elezione per la rilevazione, la misurazione e il monitoraggio di gammopatie monoclonali tipiche di patologie evolutive molto gravi, come il mieloma multiplo», riferisce la dottoressa Zuppel.
Infatti, l’elettroforesi sieroproteica permette di evidenziare la presenza di componenti monoclonali, cioè di immunoglobuline prodotte da un clone di linfociti B in una zona specifica del tracciato, permettendone la quantificazione.  

Cosa può indicare l'elettroforesi sieroproteica

Le gammopatie monoclonali sono condizioni ematologiche caratterizzate dall’accumulo nel sangue di una proteina anomala (anticorpo monoclonale), che origina da cellule del sistema immunitario dette plasmacellule. L’elettroforesi sieroproteica è in grado di rilevare queste proteine anomale e di esprimerle in corrispondenza della frazione coinvolta.

«A quel punto, di fronte al sospetto di una gammopatia monoclonale, è necessario effettuare approfondimenti clinico-diagnostici come l’immunofissazione, che permettono di confermarne presenza e tipizzazione», aggiunge l’esperta. «Tra l’altro, l’elettroforesi sieroproteica è utile non solo per diagnosticare la componente monoclonale, ma anche per monitorarla nel corso del tempo e per valutare la risposta alla terapia».

Lo stesso esame è richiesto anche come test di screening nei pazienti con trapianto d’organo in terapia immunosoppressiva per evidenziare precocemente l’insorgere di disordini linfoproliferativi.


Interpretare i risultati

Un’alterazione dell’elettroforesi sieroproteica può anche essere indicativa di danno renale, epatico, processi infiammatori e patologie autoimmuni.

«In generale, è importante che l’interpretazione dei risultati tenga conto della storia clinica del paziente e avvenga in stretta collaborazione con i clinici di riferimento, in modo da fornire informazioni corrette e utili in tutte le tappe della presa in carico del paziente», sottolinea la dottoressa Zuppel.

Quali precauziono prima del prelievo

L’elettroforesi sieroproteica viene eseguita su un semplice campione di sangue venoso e non necessita di alcuna preparazione particolare.

«È solamente consigliato il digiuno dalla sera precedente, mentre si può seguire la dieta abituale», conclude la dottoressa Zuppel. «Importante è confrontarsi con il proprio medico nel caso in cui si stia seguendo una terapia farmacologica, perché alcuni medicinali potrebbero influenzare i risultati di questo esame. È il caso di alcuni farmaci biologici, definiti anticorpi monoclonali, usati per curare malattie oncologiche, reumatologiche ed ematologiche».


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