Prurito, pelle infiammata, crosticine... i bambini che soffrono di dermatite atopica sono tanti (addirittura il 15-20%), ma il problema, in una piccola percentuale di casi, può continuare a dare il tormento per tutta la vita.
In passato, per chi era colpito dalla forma grave di questa malattia, non c’era altra soluzione che rassegnarsi a convivere con il disturbo. Ma di recente si sono aperti nuovi orizzonti di cura: Lorena, 49 anni, di Bassano Romano (Viterbo), ha fatto da apripista, provando il nuovo farmaco quando ancora non era commercializzato in Italia.
«La dermatite ha cercato di mettermi in ginocchio, ma posso dire che non ci è riuscita!», esordisce soddisfatta. Lorena parla della malattia come di una “seccante” compagna di viaggio, perché l’ha accompagnata dalla nascita fino a pochissimo tempo fa.
Da bambina la prendevano in giro
La dermatite atopica è una patologia infiammatoria cronica con una spiccata componente genetica. Nella famiglia di Lorena, infatti, molti ne hanno sofferto, ma lei è l’unica ad averla contratta in forma così grave.
«Appena nata, i medici di allora l’avevano trattata come “crosta lattea”, vietando a mia mamma di allattarmi. Ma non servì a molto. Da bambina i dottori mi dicevano di tenere duro, che con l’adolescenza la dermatite sarebbe sparita. Invece prurito e crosticine continuavano a ossessionarmi. Anche dopo la gravidanza, l’allattamento. Persino dopo la menopausa!».
Lorena ricorda anche i pesanti risvolti psicologici della malattia durante l’infanzia: «Ai miei tempi non si parlava tanto del bullismo. Ma io ne sono stata vittima. Ero continuamente derisa per la mascherina che indossavo sul viso per proteggere l’irritazione, per il mio collo piagato, per la scollatura e le braccia ricoperte di eczema...».
Anni duri, in cui ha dovuto scegliere un percorso di studi diverso da quello dei suoi sogni (avrebbe voluto fare la maestra) e convivere con un problema che sembrava non avere soluzione. Il prurito, ma anche i trattamenti aggressivi utilizzati per affrontare la dermatite, l’hanno provata al massimo: «Quando hai la dermatite atopica la pelle ti dà sempre fastidio, ti gratti e neanche ci pensi, poi vedi la gente che ti guarda strano e capisci che ti sei tormentata fino a ferirti. Di notte il prurito non cessa, ti gratti anche nel sonno, tanto che una volta ho chiesto a mia sorella di legarmi i polsi al letto».
Anche il rapporto con il proprio corpo cambia: «Ti senti sempre “sporca”. Non profumi mai, perché i prodotti arricchiti di fragranze sono off limits. I balsami che compri per non far seccare la pelle sono grassi, inodori e, appena fatta la doccia, prima di asciugarti devi correre a spalmarli sul corpo, sulle lesioni, sul viso... Così i capelli sembrano già unti, come se non li avessi lavati».
Non ha mai smesso di documentarsi
Lorena, pur lottando con la sua dermatite, si costruisce una vita piena e appagante. Si sposa con Paolo e ha un figlio, Simone, che per fortuna ha solo piccoli problemi di allergie.
Nel lavoro mette al servizio degli altri il suo carattere altruista e allegro: «Sono operatrice socio-sanitaria e mi occupo degli anziani. Quando mi vedevano con la pelle arrossata i miei pazienti mi dicevano, scherzando, di non prendere troppo sole: sono persone carine e, soprattutto, non ti giudicano».
Lorena però non smette mai di documentarsi e di cercare soluzioni al suo problema fino a quando, navigando anche su siti stranieri, non viene a conoscenza di una cura che, messa a punto negli Stati Uniti, sta dando risultati incoraggianti.
Traduce tutto quello che trova e si rende conto che finalmente c’è un nuovo farmaco che forse può restituirle una pelle sana e bella. «In un articolo si citava una molecola in grado di contrastare la mia malattia: mi iscrissi subito ai gruppi di confronto americani in cui si parlava della nuova medicina», racconta.
Poi, finalmente, la soluzione
Navigando su internet, scopre anche l’esistenza di ANDeA, l’Associazione nazionale dermatite atopica affiliata a Federasma, una Onlus nata per dar voce a coloro che soffrono di dermatite atopica e per i loro familiari (andea.it).
«Mi ha permesso di conoscere delle persone stupende e di raccogliere altre informazioni sul farmaco. Due socie di Prato mi hanno spiegato che la molecola di cui avevo letto era disponibile in Europa ma non ancora in Italia, e mi hanno aiutata a procurarmela per “uso compassionevole”. È una formula che consente di ottenere gratuitamente un farmaco non commercializzato nel proprio Paese (perché non ancora autorizzato), a chi come me, affetto da una patologia in forma grave, ha provato ogni tipo di cura ma senza risultati».
È la svolta: Lorena ottiene il dupilumab, il nuovo farmaco biologico per contrastare la dermatite atopica.
«Ho fatto le due iniezioni previste per il primo trattamento con un po’ di scetticismo. Mi sono detta: “almeno proviamoci”, Invece su di me ha avuto un effetto straordinario, sono andata a dormire e mi sono svegliata per la prima volta nella mia vita, senza aver passato buona parte della notte a grattarmi! Ho continuato a sottopormi alle iniezioni ogni due settimane e ancora oggi mi stupisco di come la mia vita sia cambiata.
Mi porto sempre dietro la mia borsa piena di creme, ma mi rendo conto di non averne più bisogno: faccio la doccia e non devo più correre a idratarmi, sono stata in montagna e mi sono accorta di essermi dimenticata di usare la crema... La qualità della mia vita è notevolmente migliorata: oggi non so più cosa significhi avere prurito!».
I grandi progressi nella terapia
«La dermatite atopica è la manifestazione cutanea dell’atopia, condizione genetica che si può manifestare con l’eczema, l’asma, la rinite allergica, la congiuntivite allergica, sintomi che si possono presentare contemporaneamente», spiega il professor Piergiorgio Calzavara Pinton, direttore della Clinica dermatologica dell’Università di Brescia.
Colpisce il 3 % degli adulti, dei quali il 2% in forma grave. La causa principale è un deficit di alcune molecole che contribuiscono alla formazione della naturale barriera della pelle. Da questo difetto scaturiscono delle reazioni di tipo infiammatorio caratterizzate da prurito, lesioni cutanee e essudato.
«Abbiamo scoperto che anche le interleuchine 4 e 13 (sostanze prodotte dal sistema immunitario) hanno un ruolo importante nella nascita e nel mantenimento della malattia», spiega il professore. «La buona notizia è che oggi le cure ci sono: i farmaci biotecnologici a base di dupilumab bloccano i mediatori delle interleuchine 4 e 13 agendo in maniera selettiva sull’infiammazione, guarendo le lesioni cutanee, facendo diminuire il prurito e interrompendo il circolo vizioso tipico della malattia.
Fino a poco tempo fa si utilizzava il cortisone o la ciclosporina, che non solo non è tollerata da tutti i pazienti, ma ha una tossicità rilevante soprattutto a carico del sistema renale, cardiovascolare e gastroenterico con una tollerabilità che può essere ben controllata solo nelle fasi acute (della durata di 3-6 mesi).
Il dupilumab, invece, non è tossico e può essere utilizzato nel lungo periodo. Non creando dipendenza poi, in caso di remissione della malattia, si può decidere di sospenderlo. Interamente a carico del Sistema sanitario nazionale, la terapia, ora disponibile anche in Italia, consiste nella somministrazione di una fiala ogni 14 giorni (alpaziente viene insegnato come farsi l’iniezione da solo), affiancata dall’uso regolare di creme emollienti».
I falsi miti
Oggi ne sappiamo molto di più sulla dermatite atopica, e possiamo sfatare tre falsi miti.
È contagiosa. La malattia non si può trasmettere. Semmai è chi ne è affetto che, avendo spesso delle lesioni cutanee, è più esposto alle infezioni esterne.
È scatenata dallo stress. In realtà lo stato d’ansia, anche grave, è una conseguenza della malattia.
Bisogna mettersi a dieta in bianco. Non serve a nulla. Certo, gli atopici possono essere anche allergici a certe sostanze, ma devono fare i test per scoprirlo.
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Articolo pubblicato nel n° 13 di Starbene in edicola da 12 marzo 2019