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Disturbi dell’apprendimento: come si fa la diagnosi

La diagnosi precoce dei disturbi d’apprendimento è possibile. È molto importante perché aiuta il bambino a non perdere autostima e autonomia

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Secondo gli ultimi dati Istat, circa il 20% dei bambini che a scuola hanno bisogno dell’insegnante di sostegno presenta anche disturbi del linguaggio e dell’apprendimento: peccato che i docenti chiamati ad affiancarli non siano sempre specializzati, visto che il 36% è sprovvisto di un titolo abilitante. Un quadro poco incoraggiante, cui si aggiunge l’aumento degli alunni con problematiche come dislessia, disortografia, disgrafia, discalculia e difficoltà nella comunicazione.

«Secondo le indagini epidemiologiche, la popolazione italiana in età evolutiva con diagnosi di Dsa, ovvero di disturbi specifici di apprendimento, oscilla tra il 2,5 e il 3,5%», illustra Mirko Cario, psicologo, esperto in psicopatologia dell’apprendimento a Roma. «Rispetto al passato, però, oggi è possibile riconoscere queste difficoltà in forma precoce e sfruttare la capacità del cervello, molto elevata in età prescolare, di modificare la propria struttura in risposta agli stimoli».


I primi segnali alla scuola materna

Talvolta qualche avvisaglia si ha già nei primi anni della scuola dell’infanzia, quando il bambino mostra difficoltà nel mantenere l’attenzione durante il gioco, sembra non ascoltare quando gli si parla, è facilmente distratto. Si tratta, però, di indicatori comuni a tanti altri disturbi dello sviluppo, sindromi genetiche o addirittura patologie come celiachia o infezioni da streptococco, nel corso delle quali si possono manifestare tic nervosi e problemi neuropsichiatrici.

«Per una diagnosi più precisa occorre riconoscere alcuni campanelli d’allarme, come l’uso di parole non adeguate al contesto e la difficoltà nel distinguere i suoni o nel formulare le prime frasi. Può esserci, inoltre, poca abilità nelle attività manuali e una certa fatica nei compiti che richiedono memoria a breve termine, come imparare le filastrocche», spiega lo psicologo.


Il test alla primaria

Alla diagnosi vera e propria in genere si arriva entro il secondo anno della scuola primaria, quando si possono svolgere test più specifici, come apposite prove di lettura, scrittura e calcolo. «Nell’iter diagnostico si valuta anche il tradizionale QI, o quoziente intellettivo, e si indaga l’emotività del bambino nel complesso, tenendo conto ad esempio del suo livello di autostima e ovviamente del sistema di relazioni sociali e amicali».

Riconoscere il problema in tenera età è fondamentale, perché consente di suggerire i migliori percorsi didattici per il recupero e il potenziamento delle abilità. L’alunno impara ad accettare le proprie difficoltà e a compensarle anche grazie a vari strumenti tecnologici.

«Al contrario, tardare la diagnosi può comportare una serie di conseguenze, come ansia, frustrazione, rabbia e senso di inferiorità, che vanno a intaccare sia i risultati scolastici, sia la sfera emotiva», avverte lo specialista.

«I bambini con Dsa possono sentirsi inferiori agli altri e manifestare nel tempo anche problemi di comportamento, mostrandosi aggressivi o rifiutando l’autorità. Se il parere medico arriva più tardi, magari in piena adolescenza, può accadere che il ragazzo abbia ormai accumulato stanchezza e avversione verso lo studio, oltre che un basso livello di autostima», sottolinea l’esperto.

Teniamo conto che i Dsa possono pregiudicare tutti i settori di vita: dall’ambito sportivo, dove è essenziale comprendere e memorizzare la tecnica, alla gestione del tempo o del denaro, in cui occorrono pianificazione e capacità di calcolo. «Tutto questo, durante la crescita e in età adulta, può sfociare in depressione, aumentato rischio di utilizzo di droghe e altre condotte socialmente devianti, come il vandalismo o la guida pericolosa, che assolvono il bisogno di superare i propri limiti».


Il ruolo fondamentale dei genitori

Insomma, si tratta di non perdere tempo e intervenire tempestivamente. Se nella maggior parte dei casi è la scuola a segnalare le eventuali difficoltà, i genitori hanno un ruolo fondamentale nel percorso di recupero: mamme e papà devono mettersi in contatto con associazioni specializzate in Dsa, confrontarsi con gli insegnanti per cercare strategie di aiuto, evitare di infliggere punizioni per l’andamento scolastico e potenziare l’autonomia del bambino.

«Non bisogna dimenticare che i disturbi dell’apprendimento non dipendono da un difetto di intelligenza, ma da una differente attività di alcune aree cerebrali, che possono essere rieducate con strategie specifiche», conclude il dottor Cario. «Questi bambini hanno solo bisogno di maggiori attenzioni per sviluppare le proprie potenzialità e, in questo senso, creare un ambiente accogliente e motivante è basilare».


Ecco i problemi più frequenti

DISLESSIA è la difficoltà a leggere e scrivere in modo corretto e fluente. Le parole di un testo appaiono più vicine, affollate, distorte, sfocate o addirittura orientate diversamente sul foglio. A un bambino dislessico la parola “divertente” potrebbe apparire come “difetentte”.

DISORTOGRAFIA: chi ne soffre fa fatica a convertire i suoni del linguaggio verbale in simboli grafici (le lettere dell’alfabeto): per esempio, vengono omesse parti di parola (pote per ponte) oppure vengono sostituiti o invertiti grafemi (vaccia per faccia; acne per cane).

DISGRAFIA: il bambino ha difficoltà a riprodurre i segni alfabetici e numerici. Non riesce a scrivere correttamente su una riga e la grandezza delle lettere è variabile. Inoltre, fatica a riportare per iscritto quanto pensa.

DISCALCULIA: è la difficoltà a comprendere e operare con i numeri, a memorizzare le tabelline, a eseguire le normali procedure di calcolo. Il bambino discalculico fa fatica a fare di conto, leggere i numeri e averne un senso quantitativo (50 è più grande di 30?).

Attività su misura

In base alla legge 170 del 2010, gli alunni con diagnosi di Dsa hanno diritto a un piano didattico personalizzato che, in base alle caratteristiche individuali, preveda le cosiddette misure compensative e dispensative. In sostanza, lo studente potrà avvalersi di strumenti d’ausilio (come la registrazione delle lezioni, i testi in versione digitale, la sintesi vocale per la lettura e l’utilizzo della calcolatrice), o essere dispensato da alcuni compiti (come la lettura ad alta voce). Potrà ricorrere a interrogazioni programmate, verifiche solo orali e tempi supplementari per lo svolgimento delle prove.


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Articolo pubblicato nel n° 12 di Starbene in edicola dal 5 marzo 2019

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