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Diastasi dei retti addominali: cos’è, cause, sintomi, soluzioni

Alcune condizioni possono allontanare i due muscoli che si estendono in verticale al centro dell’addome. Oltre al disagio estetico, la diastasi dei retti addominali può determinare anche alcuni disturbi fisici, per cui è bene chiedere consiglio a un esperto per trovare la giusta soluzione

Foto: iStock



L’ambita muscolatura “cubettata” della zona addominale, comunemente nota come “tartaruga”, è dovuta a un super allenamento dei retti addominali, due lunghi muscoli che si estendono in verticale al centro dell’addome. «In condizioni di normalità, questi due muscoli sono pressoché uniti lungo la cosiddetta linea alba, una fascia di tessuto connettivo che decorre verticalmente dallo sterno al pube, includendo l’ombelico», spiega il professor Michele Carlucci, primario dell’Unità Operativa Chirurgia Generale e delle Urgenze all’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e professore a contratto in Chirurgia dell’Apparato Digerente e Chirurgia Generale presso la Scuola di specializzazione dell’Università Vita-Salute San Raffaele.

«Può accadere che la normale anatomia della parete addominale si alteri, per cui i retti addominali si allontanano tra loro, distanziandosi dalla linea mediana». Si parla di diastasi dei retti addominali.

A quel punto, ogni volta che la persona esegue sforzi o movimenti in cui aumenta la pressione all’interno della cavità addominale, compare una tumefazione longitudinale (simile a una pinna) nella parte centrale dell’addome.


Diastasi dei retti addominali, non è una patologia

A meno che non si associ a un’ernia ombelicale, la diastasi dei retti addominali non viene considerata una patologia dal mondo scientifico e, soprattutto, non esistono linee guida ben definite che consentano ai medici di prendere decisioni standardizzate sui trattamenti.

«In questa direzione si sta muovendo l’Italian Society of Hernia and Abdominal Wall Surgery, ovvero la Società italiana di chirurgia dell’ernia e della parete addominale, che punta proprio a definire dei criteri internazionalmente condivisi per definire la diastasi addominale “patologica” e non un semplice inestetismo, in modo che l’eventuale trattamento possa essere erogabile a carico del Servizio sanitario nazionale», commenta il professor Carlucci.

«L’idea è quella di utilizzare un parametro numerico. I retti addominali non devono essere separati per più di 4-5 centimetri: oltre, si dovrebbe parlare di patologia».

Quali sono i sintomi della diastasi dei retti addominali

Al di là dell’aspetto visibile, che può determinare disagio psicologico, la diastasi dei retti addominali si accompagna talvolta ad alcuni sintomi fisici, come un’alterata postura: con il cedimento della muscolatura anteriore, tende ad aumentare la curvatura della colonna vertebrale a livello lombare, che alla lunga può causare mal di schiena.

«Alcune persone lamentano anche un’incontinenza urinaria, sempre dovuta al cedimento dei tessuti», specifica l’esperto. «Siccome poi la muscolatura addominale non ha solamente la funzione di reggere la posizione eretta, ma anche di soddisfare alcune esigenze fisiologiche, c’è anche chi presenta difficoltà nell’evacuazione con stipsi più o meno ostinata».

 
Quali sono le cause della diastasi dei retti addominali

La diastasi dei retti addominali è legata ad alcuni fattori predisponenti, che aumentano la pressione all’interno della cavità addominale.

«La condizione più frequente è la gravidanza, in cui l’addome si adatta alla crescita del feto, in modo da poterlo accogliere», racconta il professor Carlucci. «Tra l’altro, le modificazioni ormonali che caratterizzano i nove mesi di gestazione rendono la parete addominale più elastica e questo predispone a manifestare una diastasi. Non a caso, questa condizione interessa soprattutto donne giovani, che hanno avuto uno o più figli».

Altri fattori predisponenti – sia per gli uomini sia per le donne – sono l’aumento di peso, l’obesità e le patologie respiratorie (perché tosse e altri sintomi possono causare un aumento della pressione addominale). «Ovviamente, anche la lassità dei tessuti addominali dovuta a una mancanza di attività fisica può predisporre al problema», tiene a precisare l’esperto.


Come si cura la diastasi dei retti addominali

In genere, il medico diagnostica la diastasi attraverso il solo esame obiettivo, chiedendo al paziente di eseguire dei movimenti che aumentano la pressione addominale. Successivamente, per valutare l’entità del problema, possono essere utili un’ecografia oppure una Tac addome senza mezzo di contrasto (dove al paziente viene chiesto di collaborare assumendo delle pose sotto spinta).

«A quel punto, si decide cosa fare», specifica Carlucci. «Quando il problema è contenuto, viene consigliato un percorso di attività fisica di almeno sei mesi e sotto la guida di un personal trainer per restituire tonicità alla muscolatura addominale. Di solito, ripristinando un adeguato tono muscolare, l’allontanamento dei retti addominali diminuisce».

Nei casi più severi, o quando la diastasi si accompagna a un’ernia ombelicale, è giustificato invece un approccio chirurgico, che deve anche prevenire un’eventuale recidiva.

Diastasi dei retti addominali, quale chirurgia

Gli interventi chirurgici per correggere la diastasi dei retti addominali si avvale di reti protesiche, come quelle usate per riparare le ernie. Il maggiore successo si ottiene con quelle non riassorbibili, che non sono però consigliabili in età fertile: qualora la donna debba affrontare una nuova gravidanza, infatti, non soltanto l’intervento chirurgico verrebbe vanificato, ma la rete potrebbe anche contrastare la corretta espansione dei tessuti addominali.

«Ecco perché, in questi casi, sono preferibili delle reti biosintetiche, a lento riassorbimento fino a 12-18 mesi, che creano una sorta di impalcatura a supporto della parete addominale, ma senza ostacolarne l’elasticità in caso di necessità», descrive l’esperto.

Altrettanto importante è la tipologia di intervento chirurgico: per non provocare un danno estetico con eventuali cicatrici, bisogna ricorrere a tecniche mininvasive che utilizzano un sistema robotico (questo consente di posizionare la rete protesica sotto i muscoli, ma al di fuori della cavità peritoneale, evitando la formazione di aderenze pericolose in caso di successive gravidanze) oppure con accesso per via anteriore (in cui si utilizzano suturatrici meccaniche, creando uno spazio virtuale sotto i muscoli dove posizionare la rete).

«Oggi si parla sempre più spesso di “tailored surgery”, perché la scelta chirurgica va fatta su misura, in modo da trovare la soluzione più efficace, duratura e risolutiva per il singolo paziente», conclude l’esperto.


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