Dialisi peritoneale: come funziona, vantaggi, controindicazioni

Per depurare l’organismo dalle tossine che si accumulano a causa dell’insufficienza renale, la dialisi peritoneale sfrutta come filtro una membrana naturale del corpo, il peritoneo, che riveste la maggior parte degli organi addominali



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“Mi è costato un rene” è una frase che viene spesso usata nel linguaggio colloquiale per indicare un acquisto particolarmente dispendioso. Dietro questo modo di dire, si nasconde una grande verità: i reni sono preziosi, dal valore smisurato, eppure vengono spesso considerati organi di secondo piano, nascosti laggiù nei bassifondi, impegnati solo a ripulirci dalle scorie e ad eliminare l’acqua in eccesso, producendo quel “liquido di scarto” che sono le urine.

In realtà, proprio per questa funzione, sono fondamentali per la vita: oltre a mantenere le scorie del metabolismo a una quantità accettabile, regolano la concentrazione degli elettroliti (sali minerali) nell’organismo, contribuiscono alla produzione dei globuli rossi, aiutano a controllare la pressione sanguigna, favoriscono la crescita e il mantenimento delle ossa. Purtroppo, però, numerose patologie possono colpirli portando a un’insufficienza d’organo acuta (spesso dovuta a fattori temporanei, se curata rapidamente può regredire fino alla completa guarigione) oppure cronica (caratterizzata da un danno irreversibile la cui gravità è suddivisa in cinque diversi stadi, dal grado I o lieve al grado V, denominato appunto “pre-dialitico”), come nel caso dell’ipertensione e del diabete.

Quando serve la dialisi

Nel tempo, l’incapacità dei reni di filtrare adeguatamente fluidi, elettroliti e sostanze di scarto comporta lo sviluppo di numerose complicanze e aumenta il rischio di malattie cardiovascolari. «In particolare, quando la funzionalità renale risulta gravemente compromessa, è necessario sottoporsi alla dialisi, una terapia che serve a depurare il sangue dall’acqua in eccesso e dalle sostanze di scarto», spiega il dottor Loris Neri, nefrologo presso la Struttura Organizzativa Complessa di Nefrologia e Dialisi presso l’Ospedale “Michele e Pietro Ferrero” di Verduno, Cuneo.

Oltre all’esame delle urine, il metodo più semplice per valutare la salute renale è la stima della velocità di filtrazione glomerulare, indicata negli esami con la sigla eGFR: il test misura la quantità di sangue filtrata dai reni in un minuto, che i laboratori di analisi calcolano con apposite formule matematiche, tenendo conto del dosaggio della creatinina (una sostanza derivante dai muscoli che viene filtrata dal rene) e di alcune caratteristiche del paziente (età, sesso, altezza, peso corporeo, etnia).

«In una donna adulta sana, l’eGFR è in media di circa 110 ml/min, mentre nell’uomo si aggira sui 125 ml/min. Valori che sono sono rapportati alle dimensioni medie di una persona, per una superficie corporea di 1,73 metri quadrati», descrive il dottor Neri. «Il GFR diminuisce gradualmente con l’avanzare dell’età ma, in condizioni di “normalità”, rimane sempre maggiore di 60 ml/min. In media, si riduce di 0,5 ml/min per ogni anno di età dopo i 30. La dialisi va cominciata quando il valore di eGFR si riduce a meno di 6 ml/min, ma è necessario iniziare a prepararsi quando scende sotto i 15 ml/min».

Dialisi, le valutazioni preliminari

La preparazione al trattamento dialitico è un percorso complesso e molto importante di informazione, valutazione ed educazione del paziente, che richiede l’intervento di diverse figure professionali (nefrologo, infermiera del team, dietologo, psicologo) e viene svolta in un ambulatorio dedicato, chiamato “Predialisi”. Se la terapia sostitutiva della funzione renale più nota è l’emodialisi, mediante la quale il sangue del paziente viene fatto passare attraverso un filtro, in cui viene depurato, e restituito al paziente “pulito” mediante un macchinario di “circolazione extracorporea”, esiste una metodica alternativa, la dialisi peritoneale, attualmente erogata da 227 centri sui circa 600 Centri Dialisi presenti in Italia.

«Per il paziente, dal punto di vista pratico, la differenza principale sta nel fatto che mentre l’emodialisi viene generalmente effettuata in ospedale per una durata di 3-4 ore e con una frequenza media di 3 volte alla settimana, la dialisi peritoneale si effettua a domicilio».

Cos’è la dialisi peritoneale

Per capire il funzionamento della dialisi peritoneale, bisogna fare un passo indietro. Gli organi addominali (stomaco, intestino, fegato, cistifellea, milza e pancreas) sono rivestiti in toto o in parte da una sottile membrana chiamata peritoneo: i reni invece, pur essendo collocati nell’addome, sono all’esterno di essa, in una regione chiamata retro-peritoneo.

«La dialisi peritoneale sfrutta questa membrana naturale come filtro: grazie a un tubicino di plastica, posizionato vicino all’ombelico, viene introdotto nell’addome un liquido “pulito”, costituito da glucosio e sali minerali, nel quale afferiscono le diverse tossine presenti nel sangue attraverso la membrana peritoneale», descrive il dottor Neri. «Una volta saturo, il liquido viene drenato all’esterno, in un bidone o in una sacca vuota, e sostituito con nuovo liquido “pulito”».

Come funziona la dialisi peritoneale

Con un piccolo intervento chirurgico, eseguito di solito in anestesia locale, viene impiantato accanto all’ombelico un catetere in silicone morbido, sottile e flessibile, che è concepito per rimanere in sede tutto il tempo (anche parecchi anni) in cui si eseguirà il trattamento dialitico. «Attraverso questo tubicino viene infusa una particolare soluzione nella cavità peritoneale, dove staziona per un determinato tempo prima di essere rimossa e sostituita con altro liquido pulito», illustra l’esperto.

Questo processo, denominato scambio, deve essere ripetuto per un certo numero di volte, stabilito in base al singolo paziente: ad ogni passaggio, la soluzione – che contiene un agente osmotico, come glucosio, icodestrina o amminoacidi – richiama anche i liquidi in eccesso dall’organismo. E tutto questo può avvenire in maniera manuale oppure automatizzata.


Dialisi peritoneale, la forma manuale

Con la modalità manuale (denominata CAPD), il paziente deve effettuare gli scambi manualmente (senza ausilio di apparecchiature) con una frequenza di due (all’inizio) fino a quattro volte al giorno (quando si è persa completamente la funzione renale), scaglionate nel corso della giornata. Ogni scambio dura circa 20-30 minuti: l’addome viene completamente svuotato dalla vecchia soluzione di dialisi, che finisce in una sacca di drenaggio posizionata sul pavimento, e poi riempito con una nuova soluzione, che fluisce per gravità da una sacca appesa in alto, generalmente a un’asta ideata allo scopo e simile a quelle utilizzate per le infusioni endovenose.

«Una volta completato il ciclo, il sistema viene scollegato dal catetere peritoneale e si è liberi di svolgere le normali attività quotidiane, mentre il liquido lasciato in addome continua ad agire fino al successivo scambio», chiarisce il dottor Neri.


Dialisi peritoneale, la forma automatizzata

Ovviamente, man mano che è necessario aumentare il numero di scambi necessari, il paziente può avere difficoltà a gestire la modalità manuale, che frammenta continuamente le attività quotidiane. «A quel punto, si può valutare il passaggio alla dialisi peritoneale automatizzata, denominata APD, dove tutti gli scambi vengono effettuati da un’apposita apparecchiatura durante il riposo notturno», racconta Neri.

Di solito, il trattamento automatizzato dura tra le 8 e le 10 ore, a seconda delle esigenze cliniche e dello stile di vita del paziente. «Da qualche anno, grazie al tele-monitoraggio, il personale sanitario può ricevere attraverso la rete Internet i dati relativi alla terapia dialitica, con la possibilità di intervenire tempestivamente con eventuali aggiustamenti, di prendere visione quotidianamente dei risultati del trattamento e di evidenziare problematiche varie, senza aspettare la visita di controllo periodica», tiene a precisare l’esperto.

«Ma oggi si può andare anche oltre, grazie alle nuove apparecchiature di telemedicina, effettuando tele-visite e tele-assistenza, a seconda che il consulto a distanza venga erogato da personale medico o infermieristico, secondo le necessità. Insomma, rispetto a qualche anno fa, il paziente ha la tranquillità di essere seguito anche a casa da personale qualificato, che è pronto a intervenire in caso di bisogno e non solo per problemi legati alla dialisi».

Per chi è indicata la dialisi peritoneale

Ipotizzata come trattamento cronico nel 1976, la dialisi peritoneale è stata divulgata negli anni Ottanta e Novanta come una metodica innovativa che, nel corso del tempo, ha assistito a una profonda trasformazione epidemiologica. «Se all’inizio veniva preferita nei pazienti giovani, autosufficienti e con la necessità di mantenere una vita attiva, oggigiorno la dialisi peritoneale trova i suoi candidati ideali anche fra i soggetti anziani, fragili e con difficoltà di spostamento, che possono ricevere un trattamento sostitutivo della funzionalità renale direttamente a casa propria», spiega il dottor Neri.

Per questi pazienti il trattamento dialitico, in genere quello automatizzato, è effettuato da un caregiver rappresentato da un familiare (figli, coniuge) o da una badante. «Questo ha indotto a sviluppare sistemi di telemedicina che facilitassero la gestione a domicilio dei pazienti più difficili, tenendo conto che la maggior parte di loro presenta altre co-morbilità e che, per motivi anagrafici, non hanno la capacità dei soggetti più giovani nell’imparare e gestire una simile procedura».


Quali sono i vantaggi della dialisi peritoneale

«Mentre l’emodialisi va eseguita circa tre volte alla settimana presso un centro specializzato, la dialisi peritoneale può essere gestita direttamente a domicilio», evidenzia il dottor Neri.

Una volta addestrato, il paziente (o il caregiver) può mantenere la propria indipendenza e risparmiare i frequenti viaggi per raggiungere l’ospedale. «Questo permette ai soggetti più giovani di continuare a lavorare, studiare o viaggiare senza interruzioni, ai pazienti più anziani di evitare i continui spostamenti al Centro Dialisi che possono metterli in difficoltà, soprattutto se allettati o con altre co-morbilità» assicura l’esperto. «Non è un caso se la dialisi peritoneale ha avuto una grande diffusione in paesi come il Canada e l’Australia, dove le distanze sono enormi».

Inoltre, se per molti anni la dialisi peritoneale e l’emodialisi sono state considerate terapie “avversarie” fra loro, i dati emergenti sostengono che l’approccio più appropriato è quello personalizzato, determinato sulla base delle particolari esigenze del singolo paziente, anche perché le due forme dialitiche sono pressoché sovrapponibili in termini di sopravvivenza.

Quali sono gli svantaggi della dialisi peritoneale

La principale complicanza della dialisi peritoneale è la peritonite, cioè un’infezione del peritoneo che di solito è dovuta alla penetrazione di germi nell’addome durante le manovre di collegamento delle sacche al catetere. «Per fortuna, rispetto al passato, le cose sono notevolmente cambiate», assicura il dottor Neri. «Se nelle prime esperienze, alla fine degli anni Settanta, si potevano avere fino a cinque episodi di peritonite all’anno, oggi in Italia siamo a meno di un episodio ogni cinque anni. Questo è dovuto al cambiamento dei dispositivi e delle procedure connesse alla metodica, alle nuove soluzioni dialitiche, alla maggiore conoscenza del problema e alla prevenzione più efficace».

Affinché la dialisi peritoneale sia efficiente, è fondamentale anche che il catetere venga posizionato correttamente nell’addome, con la sua estremità interna posizionata in una regione anatomica denominata “scavo del Douglas”, il punto più declive dell’addome, simile al fondo di una damigiana, in cui tendono a raccogliersi per gravità i fluidi. «Qualora il posizionamento non sia ottimale, gli scarichi notturni automatizzati potrebbero risultare molto lenti e rendere il trattamento inefficiente, disturbando il sonno notturno. Per tali ragioni, il posizionamento deve essere effettuato da un chirurgo e da un nefrologo esperti», chiarisce il dottor Neri.

Le controindicazioni della dialisi peritoneale

Eventuali controindicazioni alla dialisi peritoneale possono essere di ordine sociale (per esempio, pazienti senza fissa dimora o residenti in strutture prive di adeguata igiene) oppure di ordine clinico (come pregressi interventi addominali o presenza di “stomie” intestinali).

Al contrario, conclude il dottor Neri, «possono beneficiarne alcune categorie di pazienti, come cardiopatici o soggetti con instabilità pressoria». Infatti, diluire nel tempo la depurazione dell’organismo, anziché concentrarla in poche ore settimanali come nel caso dell’emodialisi, risulta meno impattante, più fisiologica e quindi meglio tollerata.


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