di Ida Macchi
Articolo pubblicato sul n.41 di Starbene in edicola dal 27/09/2016
di Ida Macchi
Ne soffre il 4,9% degli italiani, ma di recente l’Oms ha lanciato un allarme: nel nostro Paese, il diabete di tipo 2 è destinato a crescere ed entro il 2025 si calcola che ne soffrirà quasi una persona su 10.
Le colpe? Troppe calorie e sedentarietà: fanno mettere su peso e facilitano la resistenza all’azione dell’insulina, l’ormone che permette agli zuccheri di entrareall’interno delle cellule per nutrirle.
A fronte di questi numeri, però, dall’ultimo meeting dell’European Association for the Study of Diabetes (Easd) arrivano numerose novità per mettere alle corde questa malattia. Sempre più chiari anche i meccanismi che le danno il via e, quindi, maggiori le possibilità di predire con precisione chi rischia di rimanerne vittima.
LA DIAGNOSI SARÀ PIÙ PRECOCE
«Si è scoperto che, anche se si hanno fratelli e genitori che soffrono di diabete e si è più predisposti di altri ad ammalarsi, quel che è scritto nel Dna, da solo, non basta.
Per tradursi in malattia, il diabete ha bisogno della collaborazione di alcuni “interruttori molecolari” che rendono difettosa la produzione del grasso sottocutaneo. Con la loro complicità, le cellule adipose diventano di dimensioni più grandi e sono meno propense a riprodursi», spiega il professor Giorgio Sesti, presidente della Società italiana di diabetologia (Sid).
«Così l’organismo non riesce più a stivare in maniera “sana” le calorie nel tessuto adiposo e il grasso si accumula in zone del corpo non deputate a “magazzini” di energia, come il fegato o il cuore. Risultato: alterazioni del metabolismo del glucosio, che a loro volta possono spianare la via al diabete.
La scoperta apre perciò prospettive future: identificare questi “interruttori molecolari” e misurarli nel sangue, scoprendo con forte anticipo l’eventualità che la malattia diventi una realtà».
Sul fronte della diagnosi precoce, c’è un’ulteriore novità: è il ruolo della betatrofina, ormone prodotto dal fegato che dà il polso della funzionalità del pancreas, delegato a produrre insulina.
Il suo dosaggio nel sangue si può già fare nei centri di ricerca specializzati e, se basso, indica un maggior rischio di ammalarsi di diabete. Scoprirlo permette perciò di ottimizzare la prevenzione e di personalizzare le cure, spesso ricorrendo al solo cambiamento di regime alimentare.
LA DIETA MEDITERRANEA È UNA CURA
Per le forme iniziali di diabete, le ultime ricerche promuovono a pieni voti la dieta mediterranea: «La novità è che, oltre a ridurre il peso e la glicemia, i cibi della nostra tradizione aumentano i livelli delle cellule progenitrici endoteliali », spiega il professor Sesti.
«Sono una sorta di squadra di “idraulici” che agiscono sui vasi sanguigni, rendendoli più resistenti e riparando addirittura eventuali danni, abbassando così il rischio cardiovascolare che è molto alto in chi soffre di diabete. I cibi terapeutici da mettere in tavola: olio d’oliva, legumi, verdure e insalate, meglio se consumate prima di pranzo.
Ricche di fibre, rallentano l’assorbimento degli zuccheri semplici e dei grassi. Ok anche al pesce azzurro e ai polifenoli, molecole contenute per esempio nella buccia della mela, nel tè e nel caffè, che aiutano a controllare la glicemia, mentre pane e pasta vanno limitati, privilegiando quelli integrali.
Bocciati, invece, carne rossa, burro e soft drink, vere e proprie bombe di fruttosio: consumati in eccesso sono un rischio per tutti, anche per chi non ha familiarità per il diabete perché aumentano del 400% la probabilità di ammalarsi entro 4 anni.
Da eliminare anche l’olio di palma, già sotto accusa per i suoi effetti negativi sulla salute: accresce il rischio di insulino-resistenza, primo passo per lo sviluppo del diabete».
CI SONO FARMACI INTELLIGENTI
Novità anche sul fronte dei farmaci: accanto a insulina da iniettare con apposite penne che ne rendono pratica e indolore la somministrazione, oggi per controbattere il diabete c’è il liraglutide, promosso a pieni voti dallo studio Leader che ha coinvolto 32 Paesi, Italia inclusa, i cui risultati sono stati presentati all’Easd.
«Si tratta di un analogo del GLP 1, ormone prodotto naturalmente dall’organismo che controlla il metabolismo dell’insulina, capace di tenere a bada il diabete in modo intelligente: entra in azione solo quando i livelli di glucosio risultano elevati, in particolare dopo i pasti, abbassandoli », spiega il professor Sesti.
«I suoi effetti: aiuta a ridurre il peso che fa “da turbo” al diabete, abbassa i valori della glicemia, ma soprattutto salvaguarda la salute dei reni, messa a rischio dalla malattia metabolica, e previene complicanze cardio vascolari.
Insomma: migliora, ma soprattutto allunga, la vita di chi soffre di diabete, riducendo del 12% il rischio di infarto, dell’11% quello di ictus e del 22% i danni renali.
Il farmaco va prescritto dal medico (ed è a carico del Ssn in caso di diabete scompensato) , si utilizza per via iniettiva, con microaghi simili a quelli per l’insulina, una volta al giorno al dosaggio prescritto: 1,2 mg o 1,8 mg».
LA CHIRURGIA CHE GUARISCE
>SE IL DIABETE SI COMBINA CON L’OBESITÀ e non risponde a nessuna terapia o alla dieta, oggi c’è la chirurgia bariatrica che, riducendo una parte dello stomaco, è la carta vincente per mettere ko sia i chili di troppo sia la malattia metabolica.
È quanto emerso dall’ultimo Diabetes surgery summit, durante il quale ben 45 società scientifiche mondiali di diabetologi clinici e di chirurghi hanno stilato le linee guida della chirurgia per la cura del diabete.
>«GRAZIE AL BENDAGGIO GASTRICO, al by-pass gastrico, alla sleeve gastrectomy, o alla più complessa diversione bilio-pancreatica, i valori di pressione arteriosa si abbassano, c’è un miglioramento del quadro glicemico e della funzionalità renale e una minor presenza di placche aterosclerotiche alle carotidi», spiega la professoressa Frida Leonetti, docente di endocrinologia all’Università La Sapienza di Roma.
>«INOLTRE, CIRCA IL 70-80% DEI PAZIENTI OPERATI guarisce completamente dal diabete e nei casi nei quali la malattia permane è molto più facile da controllare. Oltre all’importante calo di peso, probabilmente l’intervento induce una variazione degli ormoni prodotti dall’apparato gastrointestinale che hanno una funzione sul metabolismo, compreso quello degli zuccheri.
Causa anche una variazione delle popolazioni batteriche presenti nell’intestino, eliminando quelle patogene, che la ricerca ha ormai identificato come un fattore in grado di scatenare e di mantenere acceso lo scorretto utilizzo degli zuccheri».
Articolo pubblicato sul n.41 di Starbene in edicola dal 27/09/2016
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