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La depressione? Nasce da un’infiammazione

Non sempre, ma in un terzo dei casi è così. È la tesi dello psichiatra inglese Edward Bullmore: i processi infiammatori che coinvolgono il corpo (per esempio in caso di malattie come il diabete) arrivano anche alla mente. E scatenano il male di vivere

Foto: iStock



Pensieri pessimistici, difficoltà ad addormentarsi, calo dell’appetito, senso di colpa, mancanza di piacere nel fare le cose: tutti conoscono i sintomi della depressione. Ma perché alcune persone, spesso apparentemente senza una vera causa, cominciano a vedere tutto nero?

A portare una nuova ipotesi sull’origine di questa malattia (che secondo le previsioni dell’Oms, nel 2030 sarà la prima causa di disabilità nel mondo) è un ricercatore inglese, Edward Bullmore, professore di psichiatria all’Università di Cambridge. Ospite del recente Festival della mente di Sarzana, Bullmore ha esposto la teoria cui lavora da 30 anni e che ha spiegato anche nel libro La mente in fiamme: in circa un terzo dei casi, la depressione sarebbe il risultato di un processo infiammatorio che coinvolge il corpo e che si estende al cervello. Un’idea per certi aspetti rivoluzionaria, cui è arrivato soprattutto grazie all’esperienza con due pazienti.


Le prime intuizioni

Sul finire degli anni Ottanta, fresco di specializzazione, Bullmore aveva fatto il suo ingresso nel reparto di psichiatria e si era trovato di fronte il primo paziente: un signore che lamentava pensieri pessimistici, mancanza di piacere nel fare le cose, disturbi dell’appetito e del sonno.

Bullmore gli aveva diagnosticato un quadro di depressione e gli aveva proposto un farmaco antidepressivo per correggere lo squilibrio della serotonina. Ma il paziente aveva obiettato: come faceva a sapere che i suoi livelli di serotonina non andavano bene? A quel punto lo psichiatra si era sentito a disagio. Non esistono, infatti, esami che misurano i livelli di serotonina nel cervello.

A differenza della maggior parte delle malattie, la depressione non ha “biomarcatori” da dosare nel sangue. È il quadro clinico che porta a ipotizzare uno squilibrio dei neurotrasmettitori cerebrali (la serotonina in particolare, ma anche altri come la noradrenalina o la dopamina) e a proporre una terapia farmacologica, che comunque in un terzo dei casi non avrà alcun effetto.

La seconda paziente a orientare la sua ricerca fu una donna che Bullmore visitò durante il tirocinio come medico: la signora era affetta da artrite reumatoide, malattia infiammatoria dovuta a una reazione autoimmune contro le articolazioni. Oltre al dolore e alle lesioni alle giunture, riferiva pensieri negativi, sensi di colpa, disturbi del sonno e altri sintomi che corrispondevano a un quadro di depressione. Bullmore aveva informato il primario, ma questi non vi aveva trovato nulla di strano: «Ci sfido che è depressa con la malattia che ha», aveva commentato.


La spiegazione scientifica

Che significato hanno avuto questi due pazienti per Bullmore? Lo hanno convinto che la psichiatria fosse ostaggio di pregiudizi difficili da debellare, in particolare la visione imposta nel ’600 dal filosofo Cartesio secondo cui la mente e il corpo sono due cose distinte, da studiare separatamente.

Fortunatamente negli ultimi decenni, la neuroimmunologia ha ampiamente dimostrato che mente e corpo parlano tra loro attraverso il sistema immunitario. La barriera ematoencefalica, una sorta di “muro di Berlino” che separa il cervello dal circolo sanguigno, non è infatti inespugnabile come si riteneva.

«Quando c’è un processo infiammatorio nel corpo - per esempio quello provocato da una malattia autoimmune, ma anche quelli associati alla malattia coronarica, al diabete, all’obesità, alla parodontite o al colon irritabile - il sistema immunitario stimola la produzione di citochine. Oggi sappiamo che queste molecole proteiche sono in grado di bypassare la barriera ematoencefalica, e che quindi potrebbero andare a “infiammare” anche il cervello», osserva Bullmore.

Tanto è vero che almeno il 40% delle persone con malattie infiammatorie croniche sviluppano sintomi depressivi. In altre parole, secondo lo psichiatra inglese, i processi infiammatori che coinvolgono il nostro organismo si possono estendere anche al cervello, provocando la depressione.


Il ruolo dello stress

Va aggiunto che, oltre a varie patologie croniche, a favorire un quadro infiammatorio è anche lo stress sociale: i lutti, la perdita del lavoro, il divorzio, la necessità di accudire una persona malata o anziana sono tutte condizioni che alzano gli indici infiammatori. Sembra cioè che il sistema immunitario reagisca a una situazione di stress come se si trattasse di un attacco da cui difendersi.

Quindi sia le malattie croniche, sia le situazioni stressanti, attraverso un processo di tipo infiammatorio che coinvolge corpo e cervello, possono causare la depressione.


Le prospettive di cura

Molti trial clinici orientano verso questa ipotesi. Uno studio danese pubblicato su Jama Psychiatry ha dimostrato che i depressi hanno nel sangue livelli più elevati di proteine infiammatorie (per esempio la proteina C reattiva, o PCR, un indice infiammatorio molto utilizzato negli esami del sangue di routine).

Uno studio coordinato dallo psichiatra inglese Golam Khandaker, che ha coinvolto 15.000 bambini di 9-10 anni, ha dimostrato che quelli con alti livelli di proteine infiammatorie nel sangue avevano, a distanza di 10 anni, maggiori possibilità di sviluppare un quadro depressivo.

«Così come è successo con il cancro, che oggi nessuno considera un’unica malattia ma tante patologie diverse e con terapie differenti, è giunto il momento di dire che possono esserci tanti tipi di depressione. E uno di questi è la depressione su base infiammatoria», afferma Bullmore.

Questa ipotesi sta aprendo porte alla ricerca di nuove terapie, bloccata da anni. È in corso un trial che sta valutando l’efficacia di farmaci antinfiammatori in pazienti con depressione grave e alti indici infiammatori.

Fondamentale è inoltre indagare il ruolo esercitato dal nervo vago: la stimolazione elettrica di questo nervo ha effetti sia antinfiammatori sia antidepressivi.

Infine, acquistano sempre più forza i comportamenti e i trattamenti che hanno dimostrati effetti antinfiammatori oltre che antidepressivi. Per esempio? «L’esercizio fisico, il sonno regolare, la psicoterapia, la mindfulness, lo yoga, il Tai Chi», suggerisce lo psichiatra. «E probabilmente anche i probiotici, che agiscono sull’infiammazione cronica dell’intestino».



Un meccanismo di difesa

L’infiammazione è un meccanismo di difesa dell’organismo che interviene ogni volta che ci procuriamo una ferita o veniamo in contatto con sostanze potenzialmente nocive.

Di fronte a ogni tipo di attacco, il sistema immunitario interviene richiamando nella zona lesa i macrofagi, particolari cellule dette “gli spazzini del corpo umano”, e le citochine, molecole che stimolano il processo infiammatorio. È grazie a queste ultime che i vasi sanguigni si dilatano, permettendo un maggior afflusso di sangue nell’area danneggiata e rilasciando fluidi, dando così luogo ai fenomeni caratteristici dell’infiammazione: il gonfiore, il calore, l’arrossamento e il dolore.

In alcuni casi l’infiammazione non risolve il problema e diventa cronica, meno evidente ma più subdola per l’intero organismo.



La mente in fiamme

Si intitola La mente in fiamme (Bollati Boringhieri editore, 20,40 €) il libro in cui Edward Bullmore mette in discussione l’approccio medico prevalente riguardo alla depressione e le terapie finora utilizzate.

Con stile divulgativo e accessibile ai non addetti ai lavori, lo psichiatra propone una teoria nuova, e per certi aspetti rivoluzionaria, che mette in relazione la depressione con i processi infiammatori del corpo e che conferisce al sistema immunitario un ruolo chiave nello sviluppo dei sintomi.

Pur incontrando ancora molti ostacoli nell’imporre la sua visione, Bullmore prevede che nel prossimo futuro la prevenzione e il trattamento della depressione potranno essere calibrate sulla singola persona, tenendo presente il legame con l’infiammazione in almeno un terzo delle sue manifestazioni.



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Articolo pubblicato sul n. 45 di Starbene in edicola dal 22 ottobre 2019


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