di Valeria Ghitti
Si dilata dall’interno un’arteria per permettere al sangue di scorrere senza ostacoli: l’angioplastica è la soluzione più praticata per riaprire i vasi chiusi da trombi e depositi di grassi. In principio si usava un palloncino gonfiato nell’arteria e subito dopo rimosso, ma spesso (30-50% dei casi) il vaso tornava a chiudersi entro 6 mesi.
Si è poi passati allo stent, una spirale di metallo che fa da impalcatura e resta nel vaso, rilasciando per alcune settimane un farmaco capace di scongiurare una riocclusione. Ultimamente, in tutti i principali ospedali con unità di emodinamica e cardiologia interventistica, c’è però una terza opzione: il palloncino medicato.
UNA VALIDA ALTERNATIVA ALLO STENT
«Il palloncino che rilascia farmaci implica lo stesso rischio di nuovi restringimenti (ristenosi) dello stent (5-15% dei casi a distanza di 12-24 mesi), ma non è un corpo estraneo che resta nel vaso (con una persistente possibilità di scatenare trombosi), per cui a volte può essere la scelta perfetta», rivela Bernardo Cortese, cardiologo interventista del Fatebenefratelli di Milano e coordinatore di uno studio internazionale finalizzato a verificare l’efficacia e la sicurezza di questa nuova tecnologia.
«È indicato, per esempio, nelle angioplastiche femorali, necessarie nelle arteriopatie delle gambe che danno forti dolori e impediscono di camminare. «In questo caso a essere ostruiti sono più vasi e in più punti, per cui servirebbero molti stent.
Però più alto è il loro numero, maggiore è la probabilità di trombosi e ristenosi e, poiché è interessata un’arteria lunga, c’è anche il rischio che la spirale si rompa», spiega il medico. Sotto il ginocchio l’uso del palloncino medicato è indicato in casi specifici, come nel piede diabetico, dove le arterie sono troppo piccole per accogliere uno stent.
SI IMPIEGA ANCHE PER LE CORONARIE
«Per il cuore lo stent resta la prima scelta, ma nei casi più complessi, con più vasi coinvolti e in più punti (un tempo risolti chirurgicamente), si può abbinare al palloncino medicato per avere meno “impalcature”: per esempio si libera la coronaria principale con la spirale e quella secondaria con il nuovo dispositivo», conclude Bernardo Cortese.
L'INTERVENTO IN BREVE
L’operazione dura mediamente un’ora se riguarda le coronarie, di più per le arterie periferiche. Dopo una degenza in genere di 1-2 giorni (ma al Fatebenefratelli si viene dimessi in giornata), si torna alle normali attività quotidiane (evitando sforzi eccessivi soprattutto nel punto di incisione per la prima settimana), con una terapia a base di antiaggreganti che dura meno di quella per gli stent (1-3 mesi invece di 1-2 anni), con minor rischio di sanguinamenti.
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Articolo pubblicato sul n.11 di Starbene in edicola dal 28/02/2017