Dal professor Giuseppe Remuzzi, uno scienziato che ci invidiano tutti, direttore dell'Istituto Mario Negri (tra l'altro, è l’unico italiano a essere membro del Comitato di redazione delle più prestigiose riviste scientifiche, The Lancet e The New England Journal of Medicine), arriva una delle soluzioni pratiche alla cura del Covid. Come curare il Covid-19 cercando di evitare complicanze? E soprattutto dove? A casa, il luogo nel quale durante i primi 8-10 giorni dal contagio si gioca la battaglia cruciale contro il virus, quella che farà la differenza fra ospedalizzazione o no, ma anche sulla comparsa e durata di effetti collaterali pesanti come la stanchezza o la perdita dell’olfatto. Ecco che cosa ci ha spiegato il professor Remuzzi.
Professor Remuzzi, il vostro protocollo sta destando l’interesse di molti: di cosa si tratta?
Non è un protocollo ma un approccio terapeutico nato dalla collaborazione trentennale con il professor Fredy Suter, primario emerito di malattie tropicali. Insieme abbiamo lavorato con i pazienti trapiantati, dializzati e con persone che hanno ogni tipo di infezione nel campo delle patologie renali. Suter, da sempre dedito ai pazienti più gravi, arrivato il Covid ha iniziato ad andare a casa dei malati. Così abbiamo cominciato a lavorare su qualcosa di diverso da quello che raccomandano le linee guida, e cioè stare a casa i primi 10 giorni dell’infezione in vigile attesa usando il paracetamolo. Abbiamo cioè curato i pazienti con i sintomi iniziali come quelli che hanno infezioni alle alte vie respiratorie.
Quali sono i farmaci che funzionano meglio?
Già dai primi sintomi (nell’ordine stanchezza, tosse, dolori articolari, perdita di olfatto, bocca secca, cefalea) abbiamo utilizzato gli antinfiammatori, optando per il celecoxib, un Fans appartenente al gruppo degli inibitori selettivi della COX-2 oppure la nimesulide o, in alternativa, l’acido acetilsalicilico. Il celecoxib mitiga sul nascere la tempesta di sostanze infiammatorie, le citochine. Evidenze analoghe per la nimesulide. L’acido acetilsalicilico, invece, inibisce certe attività del virus. In particolare, l’aspirina potrebbe avere un ruolo importante nel modulare la struttura della proteina Spike, quella che Sars-Cov-2 utilizza per entrare nelle cellule, andando quindi a limitare la capacità del virus di propagarsi nell’organismo. I pazienti sono stati trattati con una di queste medicine per 8-10 giorni: la maggior parte è migliorata, fino alla guarigione. Da qui la trascrizione del lavoro d’équipe che abbiamo intitolato “Come curo il mio paziente a casa”.
E l’usatissimo paracetamolo?
È molto efficace per far sparire la febbre, ma non è sempre una buona idea, perché il rialzo della temperatura è il modo naturale con cui il nostro organismo reagisce contro i suoi aggressori. Inoltre, ci sono studi che dimostrano che il paracetamolo sottrae glutatione, una sostanza che il nostro corpo usa per contrastare il virus. La febbre va quindi controllata se è troppo alta, ma ciò si ottiene anche con l’acido acetilsalicilico.
Perché è così importante agire nei primi giorni?
Perché sono quelli in cui il virus si moltiplica. Se lo lasciamo fare perdiamo la possibilità di azione più importante. Dopo il virus va ad annidarsi in tutti gli organi e si rischia la sindrome da iperinfiammazione, con una iperattivazione del sistema immunitario ed effetti collaterali lunghie debilitanti.
Se la cura non basta?
In caso di peggioramento si prescrivono diversi esami del sangue, l’ecografia al torace e il controllo della saturazione per passare al cortisone ed eventualmente all’eparina, se c’è un’attivazione della coagulazione del sangue.
Nella nostra esperienza la maggior parte dei pazienti non ha dovuto essere ricoverata. Questo non lo abbiamo fatto solo noi, ma tanti medici della provincia di Varese già nella prima fase della pandemia. Poi abbiamo proseguito durante la seconda fase con quello che ormai era un protocollo consolidato e deciso di fare uno studio controllato da rendere noto a tutti.
I risultati dello studio?
Abbiamo confrontato 90 pazienti curati con il nostro approccio terapeutico e 90 a casa in vigile attesa gestiti con solo paracetamolo. Lo studio è stato reso pubblico su Medrxiv, una piattaforma aperta a tutti gli specialisti che possono dare il loro apporto. “Come curo il mio paziente a casa” è in attesa della pubblicazione definitiva su una rivista scientifica, ma abbiamo ritenuto fosse importante comunicare subito alla comunità scientifica questa esperienza che ha dato differenze così significative e inaspettate fra due tipi di cure sulla stessa tipologia di pazienti. I nostri risultati dicono: non perdiamo tempo i primi, strategici giorni!
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Articolo pubblicato sul n. 6 di Starbene in edicola e nella app dal 18 maggio 2021