di Valeria Ghitti
Nel 2030, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, la depressione sarà la malattia cronica più comune al mondo: un problema di salute mentale (il più diffuso), che riguarda 350 milioni di persone al mondo, 33 milioni in Europa e 2,6 solo in Italia. E i numeri sono destinati a crescere.
Per curarla c’è un nuovo farmaco. Da pochi giorni disponibile anche in Italia, si chiama vortioxetina e agisce su più fronti: «Oltre a mantenere alti i livelli di serotonina, neurotrasmettitore che influisce sul tono dell’umore, bloccandone in maniera selettiva il riassorbimento, regola i livelli di altri neurotrasmettitori coinvolti nella depressione, come acetilcolina, dopamina, noradrenalina e glutammato», spiega Claudio Mencacci, presidente della Società italiana di psichiatria.
«Così migliorano l’umore e i sintomi cognitivi della malattia, come calo della concentrazione, dell’attenzione e ella memoria, tendenza a procrastinare ogni decisione e incapacità di attuare strategie di risoluzione dei problemi».
Eppure si sottovaluta il problema. Meno di un terzo dei malati si sottopone alle cure e di questi solo 1 su 2 segue in maniera corrette le prescrizioni. Non solo: molti non riconoscono di avere un problema e quindi non chiedono aiuto al medico, tanto che in media passano due anni dalla comparsa dei sintomi alla diagnosi», spiega lo psichiatria.
I più a rischio? Le donne (soprattutto in gravidanza, post-parto, menopausa), chi ha familiari con storia di depressione, chi vive condizioni socio-economiche instabili (come i disoccupati) e situazioni di fragilità emotiva (per esempio, chi ha alle spalle un divorzio).
Prima ti fai aiutare, meglio è. Rivolgiti al tuo medico per una valutazione se: sei tra i soggetti rischio e il tuo umore è basso per gran parte della giornata e almeno due settimane di seguito; hai disturbi del sonno e la sensazione di non riuscire più ad affrontare gli ostacoli quotidiani e tutto perde di significato. Sarà lui eventualmente a indirizzarti dallo psichiatra.
Una diagnosi e un intervento precoce permettono una guarigione più rapida e un minore rischio di recidive: «Se si interviene dopo il primo episodio, con farmaci e psicoterapia, la cura è di 9-12 mesi. Più si aspetta, più il cervello va incontro a una serie di modificazioni, i neuroni si “atrofizzano”, richiedono trattamenti anche di anni, e perdono la possibilità di recuperare al 100%, aprendo la strada alla cronicizzazione», conclude l’esperto.
GLI ALTRI MEDICINALI ANTI-BLUE
Tutti i farmaci in commercio puntano ad aumentare la disponibilità a livello cerebrale dei neurotrasmettitori.
>CLASSICI: comprendono i triciclici (tipo l’amintriptilina), che bloccano il riassorbimento di serotonina e noradrenalina, ma possono interferire anche con altri neurotrasmettitori e causare problemi cardiovascolari;
>IMAO (come fenelzina), che contrastano gli enzimi monoaminossidasi deputati alla distruzione dei neurotrasmettitori. Non sono, però, selettivi, possono dare ipertensione;
>DI NUOVA GENERAZIONE: tre categorie (SSRI, NARI e SNRI), efficaci come i classici, ma con meno effetti collaterali perché bloccano il riassorbimento della serotonina o della noradrenalina o di entrambe, senza però interferire con altri neurotrasmettitori.
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Articolo pubbblicato sul n.24 di Starbene in edicola dal 31/05/2016