di Valeria Ghitti
Articolo pubblicato sul n.38 di Starbene in edicola dal 06/09/2016
di Valeria Ghitti
Si scrive Bpco, si legge broncopneumopatia cronica ostruttiva, malattia respiratoria che causa l’ostruzione progressiva delle vie respiratorie.
Inizia a manifestarsi già attorno ai 40 anni e può complicare parecchio la vita di chi ne è colpito: secondo una recente indagine condotta da Gfk, il 47% dei malati si sente limitato già solo nel salire le scale, il 45% non riesce a fare attività fisica e ben 3 pazienti su 10 vivono la malattia anche come un freno nell’intimità.
Riconoscerla in tempo, però, può fare la differenza: ecco ciò che forse ancora non sai su questo disturbo.
COSA SUCCEDE ALLE VIE RESPIRATORIE?
Gradualmente e in modo irreversibile, la loro capacità di permettere il passaggio dell’aria che raggiunge i polmoni diminuisce. «L’ostruzione progressiva è la conseguenza di un’infiammazione cronica delle vie bronchiali (bronchite e bronchiolite), che si ispessiscono e producono eccessive secrezioni.
Oppure di un enfisema, cioè la distruzione del tessuto polmonare: in alcuni casi può esserci solo una di queste condizioni, ma più spesso sono presenti entrambe», spiega Francesco Blasi, direttore dell’Unità di pneumologia del Policlinico di Milano e ordinario di malattie respiratorie all’Università degli Studi di Milano.
QUALI SONO LE CAUSE?
«In più dell’80% dei casi è il fumo a irritare in modo cronico la mucosa, infiammandola, con effetti proporzionali alla quantità di sigarette fumate e agli anni di vita da fumatore. Ma anche l’inquinamento, può contribuire», spiega lo pneumologo.
«Inoltre, aumentano il rischio di ammalarsi: l’esposizione al fumo passivo nel pancione (che compromette lo sviluppo polmonare); le infezioni respiratorie virali (virus sinciziale) o batteriche (pertosse) contratte nell’infanzia; la presenza di asma e altre malattie respiratorie complesse e, infine, alcune condizioni genetiche piuttosto rare, come la carenza di alfa1- antitripsina, proteina che normalmente protegge i polmoni dagli agenti irritanti».
IL RESPIRO CORTO È L'UNICO SINTOMO?
«No, anche se è quello che spinge ad andare dal medico, ma compare quando gran parte dei bronchi sono già danneggiati e ostruiti», dice Blasi.
«I primi segnali sono tosse e catarro persistenti per almeno tre mesi l’anno,che sono ritenuti “normali” soprattutto dalla popolazione più a rischio, quella dei fumatori: questo contribuisce a rendere la Bpco sottodiagnosticata (per cui i malati sono quasi il doppio di quelli trattati) e ad ostacolare la diagnosi precoce».
QUALI SONO LE CURE DISPONIBILI?
Non ne esiste una definitiva, ma ci sono terapie utili per tenere sotto controllo i sintomi, rallentare la progressione della malattia e limitare il suo impatto su qualità della vita e mortalità. «Si usano broncodilatatori per inalazione, da prendere quotidianamente, una o due volte al giorno, a seconda del tipo.
Ne esistono diversi, che appartengono a due categorie: gli anticolinergici e i beta 2 agonisti, da usare da soli o, per un effetto amplificato, combinati fra loro. Ma possono anche essere associati a farmaci che agiscono contro l’infiammazione: cortisonici da inalare o inibitori della fosfodiesterasi 4 da prendere per bocca», spiega il professor Blasi.
«La scelta dipende da caso a caso: l’abbinamento con cortisonici, per esempio, è più utile se la Bpco deriva da un’asma, mentre quello con gli inibitori in caso di preponderanza di bronchite cronica». Tenere otto controllo la situazione è importante perché se la malattia peggiora porta a un’insufficienza respiratoria che rende necessaria la somministrazione di ossigeno (ossigenoterapia) o la ventilazione meccanica.
COME SI ACCERTA IL PROBLEMA?
«Con una semplice spirometria: soffiando in un boccaglio, in meno di 3 minuti è possibile rilevare se il flusso respiratorio è ostruito. In caso affermativo si possono fare ulteriori accertamenti (come la pletismografia o l’esame della diffusione polmonare) per capire se sono danneggiati in maniera maggiore i polmoni o i bronchi, e quindi scegliere la terapia più adatta », continua il medico.
SI PUÒ PREVENIRE?
«La principale strategia di prevenzione è non fumare. Ma è altrettanto importante evitare le riacutizzazioni, cioè le fasi in cui i sintomi peggiorano», avverte l’esperto.
«Allo scopo, oltre a seguire correttamente le terapie (cosa che fa solo il 15% dei pazienti), è fondamentale fare la vaccinazione antipneumococco, che protegge contro la polmonite batterica più diffusa, e ripetere ogni anno quella antinfluenzale: nell’80% dei casi, infatti, le riacutizzazioni sono dovute a infezioni virali che, a loro favoriscono una sovrainfezione batterica».
Quindi, meglio poi, limitare l’esposizione all’inquinamento (per quanto possibile), e al fumo passivo, responsabili del restante 20%.
E ALLORA MUOVITI!
Affanno e fiato corto apparentemente non vanno d’accordo con il movimento, che invece è fondamentale nei programmi di riabilitazione respiratoria previsti durante la terapia della Bpco, insieme ai farmaci.
«Con gli esercizi specifici si esercitano i muscoli respiratori, imparando a usare anche quelli di solito meno impiegati, mentre attraverso l’attività fisica, graduale e costante, pianificata con il fisioterapista, si mantiene allenata tutta la muscolatura del corpo.
E un fisico allenato richiede meno ossigeno, aspetto da non sottovalutare in un organismo che ne introduce poco», conferma il professor Francesco Blasi.
Articolo pubblicato sul n.38 di Starbene in edicola dal 06/09/2016
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