Ogni anno circa 53mila italiani ricevono una diagnosi di tumore del colon-retto, la neoplasia più diffusa nel nostro Paese. Un triste primato, imputabile, in primo luogo, a uno scorretto stile di vita.
La buona notizia? Negli ultimi anni la ricerca ha fatto molti progressi, mettendo a segno strumenti diagnostici e terapie sempre più efficaci, che hanno aumentato l’indice di sopravvivenza. Tra le novità nel campo delle cure ci sono alcuni farmaci studiati per gli stadi più avanzati della malattia. Ma l’arma più efficace resta la prevenzione.
Ecco le regole fondamentali.
Combatti il sovrappeso
«La prevenzione “primaria” coinvolge il nostro stile di vita: dieta, attività fisica, controllo del peso. Iniziamo, allora, dall’esaminare i nemici a tavola», esordisce il professor Carmine Pinto, direttore dell’Oncologia medica al Clinical cancer centre dell’Ausl-Irccs di Reggio Emilia. «ll tumore, che ha origine dalle cellule epiteliali presenti sulla mucosa, può essere favorito dall’esagerato consumo di carni rosse (in particolare i salumi), di farine e di zuccheri raffinati. Secondo il National Cancer Institute americano, i grassi non dovrebbero superare il 30% delle calorie quotidiane, e vanno limitati al massimo i cibi salati, conservati e affumicati».
Per contro, occorre incrementare l’apporto di fibre, prediligendo pasta, riso e carboidrati integrali. Inoltre è bene consumare tutti i giorni frutta e verdura fresca, evitare l’abuso di alcol e il fumo e correre ai ripari se l’ago della bilancia comincia a salire. Sovrappeso e obesità, infatti, sono tra i principali fattori di rischio per il tumore del colon, così come per molti altri tumori.
Parallelamente ai correttivi dietetici, è d’obbligo incrementare l’attività fisica, per esempio camminando tutti i giorni a passo svelto per almeno mezz’ora, o praticando con regolarità uno sport indoor o all’aria aperta. Tutte abitudini che, con un po’ di impegno, possono essere adottate con successo da chiunque desideri salvaguardare la propria salute.
Esegui lo screening salva-vita
Il programma nazionale di screening per il carcinoma colon-rettale, la cosiddetta prevenzione “secondaria”, prevede la ricerca di sangue occulto nelle feci, “spia” di un possibile inizio della malattia.
Questo esame viene offerto gratuitamente, con una cadenza biennale, a tutti i cittadini d’età compresa tra i 50 e i 69 anni, che ricevono una lettera d’invito da parte della propria Asl. Vengono sollecitati a recarsi in farmacia per prendere una provetta, corredata dalle istruzioni per il prelievo corretto del campione. Dovrà essere riconsegnata al farmacista e il risultato arriverà per posta. Se è positivo, perché sono state rilevate microtracce di sangue nelle feci, si verrà convocati per un altro esame: la colonscopia, cioè l’esplorazione di tutto il colon con una sonda endoscopica flessibile, collegata a una sorgente luminosa.
Spiega il dottor Alberto Sobrero, responsabile del Dipartimento di oncologia medica dell’Ospedale San Martino di Genova: «Se si riescono a individuare i segni precursori della neoplasia o il tumore stesso al primissimo stadio possiamo ottenere i migliori risultati in termini di guarigione. Purtroppo, però, molti italiani non aderiscono al programma di screening: ricevono la lettera d’invito ma l’ignorano o la cestinano. Senza contare che vi sono alcune Regioni del Sud dove il programma di screening non è ancora partito».
Secondo gli ultimi dati relativi al 2015, aderisce alla campagna nazionale soltanto il 43% degli italiani, con grosse differenze tra il Nord (53%), il Centro (36%) e il Sud (25%).
Valuta tutti i fattori di rischio
«La prevenzione dev’essere ancora più rigorosa se in famiglia c’è un parente di primo grado (madre, padre, sorella o fratello) che ha avuto il tumore del colon-retto prima dei 65 anni», precisa Alberto Sobrero. «Le probabilità di venirne colpiti nel corso della vita salgono ancora di più se il parente ammalato è portatore dei cosiddetti “geni del mismatch repair” (Mmr) mutati. In questo caso, i figli, il fratello o la sorella possono essere sottoposti a test genetici ad hoc, volti a scoprire se anche loro hanno ereditato questo pesante corredo familiare. Se il risultato è positivo, vengono monitorati con un fitto calendario di controlli, che prevede il ricorso alla colonscopia già a 25-30 anni, con cadenza biennale».
Mutazioni genetiche a parte, esistono altre patologie croniche che aumentano il rischio di contrarre la malattia. Tra queste, le più diffuse sono il morbo di Crohn, la rettocolite ulcerosa e la poliposi adenomatosa familiare (Fap).
Occorre, infatti, ricordare che ben l’80% dei tumori si sviluppa a partire dai polipi adenomatosi, piccole escrescenze di per sé benigne che con il tempo si trasformano in lesioni precancerose.
«Individuarle (e asportarle) il più presto possibile, grazie allo screening è fondamentale. Anche perché questo tumore, nelle prime fasi, molto spesso non dà sintomi», ribadisce Sobrero. «Possibili campanelli d’allarme, da segnalare subito al proprio medico di base, sono: la presenza di sangue vivo nelle feci, un senso di incompleta evacuazione (con il conseguente bisogno di andare in bagno più frequentemente del solito), una perdita di peso inspiegabile, un perenne senso di spossatezza e un po’ di febbricola, specie nelle ore serali».
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Articolo pubblicato sul n. 11 di Starbene in edicola dal 27/02/2018