Sono quasi sei milioni in Italia le donne che soffrono di disturbi tiroidei. Un esercito tutto rosa, le cui fila sono cresciute sotto la pandemia perché la tiroide, quella ghiandola a forma di farfalla nascosta alla base del collo che rappresenta il motore del nostro metabolismo, è molto delicata e regolata da meccanismi sottili.
Qualsiasi stress psicofisico protratto per lungo tempo, come quello causato dalla pandemia, può minare la sua funzionalità, che è regolata dall’ipofisi, la ghiandola endocrina situata alla base del cranio che, a sua volta, è controllata dall’ipotalamo (una piccola area interna al cervello).
Molto frequenti sono le forme di ipotiroidismo subclinico, cioè non ancora definito patologico e tale da richiedere un trattamento farmacologico, ma comunque degno di piccoli-grandi correttivi. Anzi, è proprio quando la tiroide comincia a impigrirsi che bisogna attivarsi per regalarle sprint e rimetterla al passo. Altrimenti, ignorando il problema, si rischia di arrivare al punto di non ritorno, costrette a prendere gli ormoni sostitutivi a vita.
Per capire come intervenire, abbiamo intervistato il dottor Ascanio Polimeni, specialista in Pnei (psiconeuroendocrinoimmunologia), che dirige i Centri per la Menopausa e la Sindrome Premestruale di Roma e Milano.
Dottor Polimeni, come agisce lo stress?
L’attività della tiroide è stimolata dall’ormone TSH (Thyroid-Stimulating Hormone) secreto dall’ipofisi, che è a stretto contatto con l’encefalo. Stress e turbe emotive di carattere cronico vengono registrati dal sistema nervoso centrale e, a cascata, dalle ghiandole neuroendocrine che il cervello comanda. All’inizio può accadere che diminuisca il rilascio di TSH e che si vada in ipertiroidismo, per fronteggiare la situazione di emergenza. Ma poi, cessato l’allarme, può subentrare un leggero ipotiroidismo, come se la tiroide compensasse il periodo di superlavoro. La predisposizione genetica (madre, nonne, zie o sorelle “ipo”) o le gravidanze multiple fanno il resto, nel senso che la tiroide si “adagia” sempre di più, specie in menopausa.
Quali sono i segnali di allarme?
Nell’ipotiroidismo subclinico non vi sono dei sintomi conclamati, ma solo piccoli segnali lanciati dal corpo a cui spesso la donna presta poca attenzione, assorbita com’è da casa, figli, lavoro e impegni vari. Sintomi aspecifici che possono essere ricondotti a un iniziale ipotiroidismo sono: pelle e capelli secchi, ritenzione idrica, gonfiore sotto gli occhi e alle dita delle mani, cellulite edematosa, aumento di peso e difficoltà a dimagrire (come se il metabolismo fosse bloccato), stitichezza, digestione lenta, spossatezza, dolori muscolari, facile affaticabilità, tendenza alla depressione e sensazioni di freddo, specie al mattino quanto il “motorino di avviamento” fatica a carburare.
Chi avverte questi disturbi, che esami deve fare?
Un semplice esame del sangue con il dosaggio del TSH, l’ormone tireostimolante che si alza in caso di tiroide pigra. Va però precisato che il referto va letto con attenzione da uno specialista. Infatti, gli esami di laboratorio indicano in genere come valori normali un TSH compreso tra 0,8 e 4,5 mlU/L. In realtà, avere un TSH uguale o superiore a 3 significa già essere a rischio di ipotiroidismo. Tutti gli studi, infatti, dimostrano che più il TSH è basso (uguale o sotto i 2 mlU/L) migliore è il metabolismo, il livello di energia e la risposta immunitaria. Inoltre, si allunga la prospettiva di vita, con meno decessi per incidenti cardiovascolari, perché una tiroide perfettamente funzionante ottimizza anche il metabolismo di lipidi pericolosi, come il colesterolo e i trigliceridi. Oltre agli esami del sangue può essere utile fare un’ecografia: se la ghiandola è piccola e disomogenea potrebbe trattarsi di un’iniziale forma di ipotiroidismo autoimmune, cioè dovuta alla presenza di autoanticorpi che attaccano la tiroide. In quel caso è bene approfondire con il dosaggio ematico di anticorpi antitiroidei.
È utile fare un lungo soggiorno al mare?
No, occorre sfatare la leggenda che l’aria di mare serva a rimettere in pista la tiroide. L’aerosol marino, respirato lungo la battigia, non influenza in modo significativo la concentrazione di iodio nell’organismo e, quindi, non apporta reali benefici. Quello che conta è lo iodio introdotto con l’alimentazione, non quello respirato in vacanza. Tra l’altro le nostre acque territoriali sono abbastanza povere di iodio. L’unica zona ad alta densità è quella di Grado e di Sottomarina di Chioggia, in Veneto. Oppure le coste rocciose della Sardegna, della Campania, della Calabria e della Sicilia perché è il mare di scoglio il più salutare.
Come stimolare la tiroide naturalmente?
Innanzitutto con la dieta. Vanno privilegiati gli alimenti che la stimolano (ricchi di iodio, ferro, selenio e zinco) mentre vanno ridotti quelli che la tengono a freno, come i latticini, le crucifere, le rape, e la soia. Quanto ai supplementi, vietato il “fai da te”, con la spasmodica ricerca sul web di integratori che millantano proprietà diuretiche e dimagranti, fregiandosi di stimolare il metabolismo. Qualsiasi rimedio fitoterapico va prescritto dal medico, perché altrimenti si rischia di fare danni e di incorrere nell’effetto opposto, cioè in un ipertiroidismo difficilmente controllabile. Tra i rimedi green che possono essere utili (sotto prescrizione medica quando il TSH è tra 2,5 e 3,5 ) c’è il fucus vesicolosus, un’alga marina bruna che vive lungo le coste dell’oceano Atlantico e Pacifico. È ricchissima di iodio, il minerale che “attiva” la tiroide perché rappresenta il principale costituente dei due ormoni da lei prodotti: la tiroxina (T4) e la triiodiotironina (T3). Si assume in compresse o tintura madre (estratto idroalcolico) a un dosaggio indicato dal medico in base agli esami. In alternativa, può risultare utile la Spongea tosta, rimedio omeopatico derivato dalla spugna marina: apporta iodio organico, ed è ricco di silice e di bromo, due importanti catalizzatori enzimatici.
Che cos'è la tiroide secca?
È un estratto secco, in capsule o compresse, della tiroide del maiale, l’animale più affine all’uomo. Il genoma dei suini è, infatti, molto simile a quello umano e anche gli antigeni cellulari lo sono. Può essere prescritta in maniera ponderale, come i comuni farmaci, oppure in diluizioni omeopatiche o omotossicologiche per dare alla tiroide un leggero input biologico. Personalmente, la prescrivo se il TSH è uguale o superiore a 4, quando l’ipotiroidismo subclinico è più marcato e sta scivolando verso la patologia. La tiroide secca contiene tutti gli ormoni tiroidei: non solo il T3 e il T4 ma anche il T1 e il T2, che sono i loro precursori, oltre a un pool di minerali e oligoelementi. Apporta, cioè, tutti i “mattoncini” di cui la tiroide ha bisogno per lavorare bene e sintetizzare i suoi ormoni. Fornendo uno stimolo biologico, va data per tre mesi insieme a dei complessi multiminerali e vitaminici (le B e la D, ad esempio, sono importantissime così come il ferro, il rame, lo zinco, il selenio e il bromo). Dopo tre mesi si rivaluta il TSH e si vede se la tiroide è ripartita. In genere risponde bene, e si evita così di dover iniziare il percorso a senso unico dei farmaci ormonali.
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Articolo pubblicato sul n. 6 di Starbene in edicola e nella app dal 18 maggio 2021