L’ultima allerta sui “dispositivi medici” è scattata pochi giorni fa in Francia, dove le autorità sanitarie hanno imposto il ritiro dal mercato di ben 13 tipologie di protesi mammarie: il sospetto è che la loro superficie ruvida possa in qualche modo favorire l’insorgenza di una rara forma di tumore, il cosiddetto linfoma anaplastico a grandi cellule (ALCL).
L’ipotesi, ancora lungi dall’essere dimostrata, è da anni al vaglio delle agenzie sanitarie internazionali, che hanno alzato la guardia proprio nel tentativo di fare un po’ di chiarezza. Questo vale anche per l’Italia, dove il Ministero della salute si è mobilitato già a partire dal 2014 raccomandando ai medici massima attenzione nella sorveglianza: finora sono 41 i casi di ALCL segnalati alla Direzione generale dei dispositivi medici dal 2010 a marzo 2019, su un totale di circa 411.000 protesi impiantate negli ultimi otto anni.
In attesa che si pronunci anche il Consiglio superiore di sanità, interpellato d’urgenza dal ministro Giulia Grillo, si riaccende il dibattito sulla sicurezza delle protesi mammarie così come di tutti i “dispositivi medici” usati quotidianamente da milioni di italiani.
Una “famiglia” vastissima
«Il termine “dispositivo medico” si applica a oltre 10.000 tipologie di prodotti: si va dal semplice cerotto ai macchinari per la risonanza magnetica, dagli apparecchi acustici alle protesi ortopediche, dai misuratori di pressione ai pacemaker per il battito cardiaco», spiega Federica Censi, ingegnere elettronico e primo ricercatore presso il Dipartimento di malattie cardiovascolari endocrino-metaboliche e invecchiamento dell’Istituto superiore di sanità.
«Questi dispositivi – continua l’esperta - possono essere commercializzati nell’Unione europea solo se ottengono il marchio CE, dopo che il fabbricante ha dimostrato la loro conformità, in termini di efficacia e sicurezza, all’autorità competente, cioè al ministero della Salute».
Ci vogliono mesi di carte e accertamenti per ottenere l’ambìto marchio CE, che per il paziente rappresenta una garanzia di sicurezza. Necessaria, sì, ma non sempre sufficiente. Può infatti accadere che nel lungo periodo insorgano problemi imprevisti, come nel caso delle protesi mammarie sotto inchiesta, oppure che finiscano sul mercato alcuni dispositivi non conformi o difettosi che devono essere ritirati dal commercio.
Le frodi non mancano
«Sono i medici in primo luogo e gli stessi fabbricanti di dispositivi a dover segnalare eventuali problemi o incidenti all’autorità competente e all’ente notificato, in modo che in base alla gravità della situazione si possa attivare la procedura per ritrovare i prodotti fallati».
Il ritiro di un dispositivo medico non implica sempre un grave rischio per la salute dei pazienti: «A volte avvengono semplicemente per inadeguatezza delle istruzioni d’uso», precisa Rossana Perego, responsabile di affari regolatori della multinazionale Boston Scientific, che fornisce dispositivi medici a 660 ospedali italiani, in gran parte pubblici.
«Altre volte – prosegue l’esperta - è capitato di assistere al ritiro di prodotti difettosi finiti sul mercato a seguito di una vera e propria truffa, come è accaduto nel 2010 in Francia con lo scandalo delle protesi mammarie Pip, pericolose per la salute perché realizzate con silicone artigianale e non biologicamente compatibile come invece dichiarato dal fabbricante nella documentazione. Il produttore è stato condannato per frode e incarcerato».
Scandali come questo hanno contribuito a incrinare la fiducia dei cittadini e l’Unione europea ha così deciso di correre ai ripari aggiornando la normativa sui dispositivi medici, aumentando i controlli su sicurezza e trasparenza per rendere più difficile la vita ai malintenzionati.
Che cosa cambierà
A partire da maggio 2020 entrerà in vigore il nuovo regolamento europeo, immediatamente esecutivo in tutti i Paesi membri.
«Aumenteranno i controlli incrociati, i fabbricanti potranno ricevere ed effettuare ispezioni a sorpresa e avranno l’obbligo di riportare maggiori dati di sorveglianza, vigilanza e clinici, in modo da reagire prontamente nel caso di non-conformità del prodotto», spiega l’esperta di Boston Scientific.
«Migliorerà poi l’attività di registrazione e tracciabilità dei dispositivi medici con l’utilizzo di un numero identificativo unico in tutti i Paesi membri e con la registrazione dei dati nella banca dati europea. Infine tutti i dispositivi impiantabili avranno un tesserino che il paziente dovrà portare con sè per una pronta identificazione del prodotto».
La classificazione
È considerato un dispositivo medico qualunque strumento, apparecchio, apparecchiatura, software, impianto, reagente, materiale o altro articolo, destinato a essere impiegato sull’uomo, da solo o in combinazione, per diagnosi, prevenzione, monitoraggio, previsione, prognosi, trattamento o attenuazione di malattie, lesioni o disabilità.
I dispositivi possono essere attivi (se necessitano di energia per il loro funzionamento), passivi, impiantabili o non impiantabili.
In funzione della loro complessità, della destinazione d’uso, del livello di invasività e della durata a contatto con il paziente, sono raggruppati in quattro categorie:
- classe I
Ne fanno parte i cerotti ma anche i materassi antidecubito.
- classe IIA
Rientrano in questa categoria le pompe per infusione a siringa.
- classe IIB
Ne fanno parte le macchine per anestesia.
- classe III
Qui rientrano stent e pacemaker.
La nuova strategia del Ministero della Salute
Garantire ai cittadini l’accesso a prodotti innovativi e sicuri senza che le casse dello Stato ne risentano: è questo l’obiettivo del nuovo Documento sulla governance dei dispositivi medici presentato dal Ministero della salute alle Regioni, insieme all’introduzione del Registro delle protesi mammarie e del Registro italiano artroprotesi. Con questa nuova strategia si intende definire una politica per i dispositivi medici che sia omogenea su tutto il territorio nazionale, e non diversa per ciascuna Regione.
L’obiettivo è valutare i nuovi prodotti basando le decisioni sui bisogni dei pazienti e sul valore aggiunto della tecnologia, dimostrato in termini di risultati. Il documento intende poi ridurre i conflitti di interesse tra aziende e medici, rendere più efficiente il monitoraggio di rischi e benefici dei prodotti, oltre che definire prezzi di riferimento. Si stima che per alcuni dispositivi si possano fare risparmi anche del 10%.
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Articolo pubblicato nel n° 21 di Starbene in edicola dal 7 maggio 2019