Undici ore di intervento no stop, che ha riunito intorno al tavolo operatorio ben due équipe mediche: quella dedita alla chirurgia vitreoretinica e quella specializzata in chirurgia oftalmoplastica. Obiettivo? Impiantare sotto la retina di una 50enne, affetta da cecità da 25 anni, un microchip più piccolo di un coriandolo: misura 3,2 mm per 4 mm e ha uno spessore di 70 micron. Servirà a restituirle in parte la vista, sostituendo i fotorecettori (coni e bastoncelli) danneggiati dalla retinite pigmentosa, la malattia di cui soffre.
Si tratta di un miracolo della scienza e della tecnica, che assegna all’Italia la leadership dell’occhio bionico con impianto sottoretinico (gli altri due realizzati in Europa, sono stati applicati a Oxford e Tubingen) e che apre nuove prospettive nella cura di alcune forme di cecità.
Così funziona il dispositivo
«La placchetta inserita sotto la retina è dotata di 1600 microsensori che captano gli impulsi luminosi trasformandoli in segnali elettrici da inviare al cervello», spiega il dottor Marco Codenotti, responsabile del servizio di chirurgia vitreoretinica dell’ospedale San Raffaele di Milano.
«Attraverso un sottilissimo fascio di cavi, i segnali captati dai sensori arrivano a un amplificatore grande pochi centimetri quadrati, impiantato sottopelle nella scatola cranica, dietro all’orecchio. Quindi, gli impulsi elettrici amplificati tornano al microchip che li trasmette, attraverso speciali cellule, al nervo ottico fino a raggiungere il cervello».
Un circuito complesso, quindi, che trasforma la luce in energia elettrica grazie ai fotorecettori artificiali.
Il recupero progressivo
La paziente, operata il 20 gennaio scorso, sta reagendo bene alle terapie antibiotiche e antinfiammatorie post-operatorie. Ma occorrerà un mese prima dell’accensione del microchip. Poi il cervello “reimparerà” a vedere, dopo 25 anni di black-out totale.
Ma che cosa vedrà, quando i suoi occhi si riapriranno al mondo? «Allo stato attuale, non sappiamo esattamente quantificare il grado di recupero della vista», risponde il dottor Codenotti. «Riuscirà a percepire le variazioni di luce, le sagome distinte e i contorni del volto. Forse anche qualcosa di più».
Cosa aspettarsi in futuro
«La realizzazione dell’occhio bionico getta un seme di speranza nella cura delle patologie genetiche che minano la vista. Tra queste, le più diffuse sono, oltre alla retinite pigmentosa, la coroideremia e le distrofie retiniche», prosegue l’esperto. «Tutte forme di cecità eredo-familiari, dovute a mutazioni di un pool di geni».
Fai la tua domanda ai nostri esperti
Articolo pubblicato sul n. 10 di Starbene in edicola dal 13/02/2018