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Tumori: come trasformare la rabbia in alleata della guarigione

La rabbia è un sentimento comune fra i malati di cancro. Un nuovo progetto di ricerca sottolinea l’importanza di canalizzarla per trasformarla da nemica in alleata della guarigione

Foto: iStock



Perché proprio a me? Perché proprio ora? Quando ci si trova a fare i conti con un tumore, è quasi inevitabile sentirsi arrabbiati. La diagnosi viene vissuta come un’ingiustizia, come una grande interruzione della vita e un’inattesa congiura del destino. E così si diventa irritabili, irrequieti o magari collerici, aggressivi.

Arrabbiarsi rappresenta uno strumento di reazione e difesa dal dolore, che finisce per rivolgersi contro il mondo intero. Come ho fatto a non accorgermene? Perché nessuno ha fatto qualcosa? Chi ha sbagliato? Sono domande che cercano un movente, una causa, qualcuno con cui potersi infuriare. Intorno a questo sentimento così diffuso ruota un progetto di ricerca della Fondazione per la medicina personalizzata (Fmp), che ha sottoposto un questionario a circa 300 pazienti del Day hospital oncologico dell’Istituto dermopatico dell’Immacolata Irccs di Roma: uomini e donne, mediamente di 64 anni, che hanno dimostrato di provare tanta rabbia, spesso poco esternata e soprattutto poco capita.


Un ostacolo nel percorso di cura
«In un paziente oncologico, la rabbia può rappresentare un intralcio nel percorso di cura», spiega il professor Paolo Marchetti, presidente della Fmp e responsabile del Polo oncologico della Sapienza (Policlinico Umberto I e Ospedale Sant’Andrea) di Roma. «Molti malati se la prendono con la struttura assistenziale, accusando medici e infermieri di non fare abbastanza.

Oppure il bersaglio diventa la famiglia, perché il coniuge e i figli non li capiscono, non li aiutano, continuano a fare la loro vita. O viceversa i familiari si arrabbiano con il paziente che, secondo loro, ha praticato stili di vita scorretti che hanno reso più probabile la comparsa del tumore, costringendoli a vivere quella situazione. E così, lui si colpevolizza e si isola ancora di più». Il nuovo studio ha dimostrato che 3 pazienti su 4 vivono queste situazioni sviluppando più facilmente ansia e depressione. «Soprattutto la seconda rappresenta un nemico nella lotta contro il cancro: non si tratta solo di un disturbo psicologico, ma di una condizione che può indebolire l’organismo anche sul piano biologico. La mancata volontà di lottare contro la malattia rende il paziente più fragile, meno reattivo dal punto di vista immunitario, ma anche più sensibile agli effetti collaterali delle cure». Questo si traduce spesso in una riduzione delle dosi terapeutiche o nella scelta di trattamenti meno impegnativi, ma anche meno efficaci.


Uno shock da superare
«Adesso l’obiettivo è sensibilizzare i centri oncologici italiani su questo tema, allo scopo di educare i pazienti a canalizzare in modo utile la rabbia per rivolgerla contro quell’ospite indesiderato che vogliamo distruggere», spiega Marchetti. Il progetto di ricerca ha visto la collaborazione della dottoressa Claudia Sebastiani di Fmp e della dottoressa Eva Mazzotti, psicologa e psicoterapeuta, che racconta come talvolta la diagnosi di malattia oncologica vada a sommarsi ad altri problemi del paziente: «Una relazione poco soddisfacente con il coniuge, figli da crescere, difficoltà al lavoro. Il tumore rappresenta un sovraccarico fisico e psichico, che all’inizio viene vissuto come uno shock, soprattutto in chi è sempre stato attento alla salute e ritiene di non meritare quella punizione». È una reazione di stizza simile a quella che proviamo di fronte a chi ci ruba il parcheggio o all’impiegato scortese che non risponde alle nostre domande. «L’emozione è la medesima, ma nella malattia la tempesta biochimica di ormoni che si scatena nel corpo è prolungata nel tempo e non si risolve nell’arco di pochi minuti».


Come si contrasta
Il modo giusto per gestire la rabbia non è reprimerla, ma neppure palesarla platealmente. «Con l’ausilio di uno psiconcologo, si possono imparare delle tecniche di rilassamento, come il training autogeno o lo yoga, magari sotto forma di semplici esercizi da ripetere a casa, in sala d’aspetto e in tutte quelle occasioni dove è necessario spostare l’attenzione dalla malattia», illustra Mazzotti.

Può anche essere utile convogliarla verso qualcosa di positivo, attivo e creativo: scrivere, fare attività fisica, dipingere, lavorare a maglia. «In questo modo, l’energia esplosiva tipica della rabbia si spoglia della sua negatività e diventa una preziosa alleata nella lotta al tumore: una reazione vitale, una rivolta, si vuole combattere il nemico. In questa fase, può essere utile anche una psicoterapia di gruppo, dove il confronto con altri pazienti fa sentire meno soli. Ci si guarda in faccia con sincerità, senza pregiudizi e con affetto, parlando di cose dolorose ma sapendo di essere capiti. Smettere di avere paura è il primo passo lungo un cammino di rinascita, guarigione e vita», conclude l’esperta.


Uomini più a rischio depressione

Lo studio condotto dalla Fondazione per la medicina personalizzata ha dimostrato che gli uomini “arrabbiati” per la diagnosi di tumore ma che reprimono il loro stato d’animo sono più soggetti a sviluppare la depressione rispetto alle donne. Un dato che potrebbe apparire in controtendenza rispetto ai numeri italiani: 3 milioni di persone depresse, di cui 2 milioni appartengono al genere femminile. Nel caso della rabbia, però, le donne tendono ad aprirsi emotivamente e verbalmente: questo le aiuta a non interiorizzare lo stress e le preserva dalla depressione che spesso ne consegue.


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Articolo pubblicato sul n. 10 di Starbene in edicola dal 18 febbraio 2020

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