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Calcoli renali: sintomi, cause, terapie

Chi le ha provate se le ricorda bene: le coliche renali provocano un dolore che toglie il respiro. Ma evitarle è possibile, se metti in pratica tutte le misure indicate dai nostri esperti

Foto: iStock



Un dolore lancinante che dal fianco si irradia all’inguine e alla zona lombare, così intenso da essere definito dalle donne “peggio delle doglie”. Sì hai indovinato, è la colica renale che ha un’incidenza alta nella popolazione italiana (il 15% riferisce almeno un episodio nel corso della vita) e che rappresenta uno dei principali motivi di accesso al pronto soccorso.


Calcoli renali: quali sono i sintomi

In altri casi, i calcoli renali non si manifestano in maniera così improvvisa e violenta e vengono scoperti casualmente durante un’ecografia dell’addome prescritta per altri motivi, oppure danno sintomi modesti non riconducibili alla loro presenza come una lombalgia sorda (più simile a un fastidio che a un dolore), urine torbide, frequente necessità di fare la pipì e bruciore alla minzione.

Altre volte, infine, sono asintomatici ma provocano repentine crisi dolorose nel momento in cui il corpo cerca di espellerli. E se non son calcoli, quei sassolini che decidono di alloggiare nelle vie urinarie (soprattutto nella pelvi, il “bacinetto” che raccoglie l’urina prodotta dal rene), è comunque renella, una “sabbiolina” formata da microscopici aggregati di cristalli, esattamente come la sabbia del litorale adriatico.

Anch’essa può formarsi all’interno dei reni e migrare nelle vie escretrici verso la vescica, provocando dolori (anche se meno intensi rispetto ai calcoli duri e grossi) e disturbi alla minzione.


Le cause dei calcoli renali

Ma come prevenire gli indesiderati ospiti, quali farmaci prendere sotto attacco e quali le novità in ambito chirurgico?

«Per capire perché si formano i calcoli renali occorre sapere che nell’urina sono sospesi piccoli cristalli di sale, naturalmente espulsi quando “svuotiamo” la vescica. Se per qualche ragione (per esempio se beviamo troppo poco e ci disidratiamo) questo delicato equilibrio si blocca, i cristalli precipitano e si aggregano tra loro formando delle concrezioni solide chiamate calcoli renali», esordisce il professor Bernardo Rocco, direttore U.O.C. Clinica Urologica della Fondazione IRCCS Policlinico Gemelli di Roma.

«Possono essere di diverso tipo: quelli composti da ossalato di calcio (80%), quelli di fosfato di calcio (10%), quelli in cui predomina l’acido urico, frequenti negli “over 60” (7-8%), quelli di struvite, che sono causati da un’infezione urinaria (2-3%), e quelli di cistina (circa 1%): dovuti a disordini metabolici, sono particolarmente duri e difficili da trattare anche se piccoli».


Calcoli renali, la terapia d'urgenza

Quando i calcoli si muovono, immettendosi nel tubicino che porta l’urina dalle pelvi alla vescica (uretere) e scatenando il tipico dolore trafittivo della colica renale, accompagnato da nausea, vomito e talvolta tremori e febbre, non resta che recarsi al pronto soccorso dove, con un’ecografia, uno o più calcoli che si stanno incuneando verso il basso. Non è detto, però, che l’ecografia riesca a visualizzarli bene, ma sorge il sospetto constatando le vie urinarie dilatate: segno che il “sassolino” si sta impegnando nell’uretere, ostruendolo.

«Per calmare il dolore vengono somministrati antinfiammatori non steroidei oppure, in casi selezionati, farmaci oppioidi come la morfina che consentono un buon controllo della situazione», prosegue il professor Rocco. «Se si tratta di microcalcoli, si attende che vengano spontaneamente espulsi con le urine, prescrivendo farmaci alfabloccanti per 7-14 giorni.

Se, invece, c’è un’indicazione all’intervento, si esegue anche una tac con contrasto, utile a visualizzare le vie escretrici e la presenza di altri calcoli sfuggiti all’ecografia. La tecnica usata? Dipende da caso a caso. Per quelli piccoli, si usa una metodica poco invasiva perché non richiede anestesia generale né incisioni con il bisturi: la litotrissia extra-corporea, il bombardamento dei calcoli tramite un fascio esterno di onde d’urto. Dopo aver spalmato sulla zona lombare un gel conduttore, le onde vengono direzionate sui calcoli per ridurli in frantumi: tanti piccoli granelli che verranno espulsi per via fisiologica, bevendo tanta acqua. Tecnica collaudata, se c’è una selezione iniziale ha una percentuale di successo del 70-80%».


Calcoli renali, quando occorre un vero intervento chirurgico

Per calcoli renali di maggiori dimensioni o anche non tanto grandi ma dalla composizione mista e complessa, si ricorre invece all’ureteroscopia semirigida o flessibile. «In anestesia generale, grazie a un tubicino, dalla vescica si risale l’uretere fino al rene, dove il calcolo viene polverizzato da una sottilissima fibra laser dello spessore di 0,2 mm (200 micron)», spiega il professor Bernardo Rocco.

«Di ultima generazione, il laser ad olmio consente di effettuare una litotrissia rapidissima, precisa ed efficace, e i frammenti del calcolo vengono asportati da appositi strumenti di estrazione chiamati cestelli. Quando il calcolo è di dimensioni ancora più grandi (oltre i 2 cm), si ricorre infine alla litotrissia percutanea, cioè non eseguita dall’esterno ma inserendo la sonda (che può essere laser, a ultrasuoni o a onde d’urto) nel fianco del paziente, tramite una piccola incisione.

Si frammenta il calcolo in tanti piccoli pezzetti e si aspirano. Dopo qualche giorno il paziente è dimesso e può riprendere la vita normale. Ma almeno nel 30% dei casi, a distanza di cinque anni dall’intervento, si manifestano delle recidive, specie se si tratta di un paziente obeso o in forte sovrappeso, che soffre di diabete, che beve poco, fuma e segue una dieta sbilanciata, ricca di sale e di proteine animali».


Calcoli renali: cosa fare perché non si ripresentino

Per ridurre il rischio concreto che la colica si ripresenti, è importante che il chirurgo analizzi la composizione dei calcoli asportati. «Se sono formati da calcio, è molto utile assumere giornalmente degli integratori a base di citrato di potassio e di magnesio, oltre a seguire una dieta alcalinizzante povera di sodio e di proteine, e ricca di acqua oligominerale (almeno 2 litri al giorno) nonché di frutta e verdura fresca», puntualizza la dottoressa Maria Chiara Sighinolfi, dirigente medico presso l’U.O.C. di Urologia della Fondazione IRCCS Policlinico Gemelli di Roma.

«La dieta alcalinizzante, cioè con poca carne, insaccati e latticini ma molte verdure, è perfetta anche per i calcoli di acido urico che possono arrivare a sciogliersi da soli se alla dieta antiacida si associa una terapia ipouricemizzante con una molecola chiamata allopurinolo». Così si abbassa l’acido urico e si prevengono le recidive.

Cosa fare i calcoli renali più resistenti

Come accennato all’inizio, i calcoli renali più resistenti ai trattamenti sono quelli di struvite, in genere piccoli ma pronti a dare del filo da torcere. «Anche in questo caso, però, prima di pensare all’intervento occorre convincere il paziente a seguire una dieta particolare, che in questo caso ha un aspetto curioso: i calcoli di struvite sono infatti gli unici che prevedono una strategia acidificante, invece che alcalinizzante», sottolinea la dottoressa Sighinolfi.

Occorre quindi farsi impostare un regime dietetico teso ad abbassare il pH urinario, insieme a un integratore di metionina che, attraverso un meccanismo biochimico, previene la comparsa di nuovi “sassolini”.


Limone e fillanto, i due rimedi naturali

Non c’è terapia alcalinizzante senza spremute di limone, un agrume favoloso non solo per creare nell’organismo un ambiente alcalino ostile alla formazione di calcoli, ma anche per favorire la disgregazione della renella e dei microcalcoli entro i 5 mm grazie all’acido critrico e malico che riescono, appunto, a renderli solubili.

«Un altro rimedio naturale proviene da una pianta di origine sudamericana, il fillanto (Phyllanthus niruri), efficace soprattutto nei confronti dei calcoli a base di ossalato e fosfato di calcio», spiega la dottoressa Maria Chiara Sighinolfi. «Assunto in capsule o tavolette, l’estratto secco dei fiori di fillanto può esercitare un’azione antiagglomerante e la sua assunzione può essere indicata anche dopo il trattamento con la litotrissia, per prevenire le recidive. Circa il dosaggio, meglio non fare di testa propria e consultare comunque il proprio urologo».


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