Calazio all’occhio: cos’è, cause, sintomi, soluzioni

Da non confondere con l’orzaiolo, questa infiammazione della palpebra può persistere per diversi mesi e, talvolta, richiede un piccolo intervento chirurgico per regredire del tutto



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E poi all’improvviso sei arrivata tu: una strana “pallina” sulla palpebra, magari piccola (come un seme di miglio) oppure così grande da impedire la corretta chiusura dell’occhio. È il calazio, un’infiammazione oculare che coinvolge una o più ghiandole di Meibomio.

«Queste strutture, piuttosto tortuose, sono posizionate nelle palpebre e sboccano alla base delle ciglia», descrive il dottor Giuseppe Di Meglio, specialista in Oculistica e Microchirurgia oculare a Vercelli e Milano. «Sono fondamentali per i nostri occhi, perché producono la parte oleosa delle lacrime, necessaria per evitare che evapori la loro componente acquosa. Non a caso, la nota sindrome dell’occhio secco deriva proprio da una disfunzione delle preziose ghiandole di Meibomio».

Quali sono i sintomi del calazio

Oltre al nodulo più o meno accentuato sulla palpebra superiore o inferiore, che determina una sensazione di pressione oculare, di solito il calazio non è doloroso, ma può causare prurito e fastidio.

Ma come si forma? «Quando c’è un’infiammazione del margine palpebrale, i piccoli dotti delle ghiandole di Meibomio possono chiudersi», racconta il dottor Di Meglio. «A quel punto la secrezione fisiologica di queste ghiandole prosegue, ma non trovando uno sbocco verso l’esterno crea una cisti granulomatosa, che diventa ben visibile, come una sorta di pallina».

Per fortuna, però, il calazio non è pericoloso per i nostri occhi e non può degenerare in altre patologie, ma certamente comporta un disagio estetico e, talvolta, funzionale (quando le dimensioni sono evidenti).

Il calazio non va confuso con l’orzaiolo

Il calazio viene spesso confuso con l’altrettanto comune orzaiolo, un’infezione batterica (non un’infiammazione) che coinvolge ghiandole differenti, dette di Zeiss, piccoli follicoli sebacei presenti alla base delle ciglia.

Per distinguere le sue condizioni, basta osservarne alcune caratteristiche: di solito il calazio non è doloroso (oppure lo è solamente per i primi giorni) mentre l’orzaiolo è fastidioso; un calazio può durare anche 9-10 mesi mentre l’orzaiolo guarisce in pochi giorni; il calazio si manifesta nella parte centrale della palpebra mentre l’orzaiolo compare vicino al bordo come una sorta di brufolo bianco-giallastro, alla radice di un ciglio.

Quali sono le cause del calazio

Se un tempo si pensava che il calazio avesse un’origine infettiva, oggi è noto che alla base del problema ci sono altri fattori predisponenti, come un uso eccessivo dei dispositivi tecnologici (tablet, computer, smartphone), che sottopongono gli occhi a un’esposizione prolungata alla luce blu.

«Fissare a lungo lo schermo riduce il normale ammiccamento, cioè si sbattono meno le palpebre. Se poi allo sguardo fisso sommiamo un ambiente non adeguatamente umidificato, è probabile che al termine della giornata gli occhi brucino o siano arrossati», avverte l’esperto.

In alcuni casi questo disagio può trasformarsi in una vera e propria patologia, la sindrome dell’occhio secco (conosciuta anche come DES, Dry Eye Syndrome), che colpisce circa il 45% degli italiani, soprattutto donne in menopausa per una questione ormonale, ma con un progressivo aumento fra i più giovani (sotto i 20 anni). 

Come si diagnostica il calazio

La diagnosi del calazio avviene durante una normale visita oculistica, durante la quale il medico si basa sull’osservazione clinica (cioè guardando la palpebra) e sulla raccolta di informazioni da parte del paziente (anamnesi).

«In caso di recidive frequenti, il calazio potrebbe essere indicativo di blefarite, un’infiammazione che colpisce l’intero bordo palpebrale e coinvolge tutte le ghiandole di Meibomio», tiene a precisare il dottor Di Meglio. «Un oculista è in grado di rilevare questa condizione e intervenire precocemente, perché la blefarite protratta potrebbe aprire la strada a una sindrome dell’occhio secco severa».

Come si cura il calazio

Nella maggior parte dei casi, il calazio guarisce spontaneamente, senza bisogno di ricorrere ad alcun trattamento, ma possono servire diversi mesi.

«Per facilitare la guarigione, però, si possono fare degli impacchi con garze imbevute con un infuso di acqua tiepida e malva: basta premerle sulle palpebre, per circa 10-15 minuti, una o due volte al giorno, per aiutare il drenaggio della ghiandola ostruita», consiglia il dottor Di Meglio.

Su consiglio medico, si può anche ricorrere a pomate antibiotiche (per contrastare eventuali sovra-infezioni batteriche) oppure a base di steroidi (per ridurre il gonfiore locale e aiutare la fuoriuscita del secreto).

«Se neppure questa soluzione appare risolutiva e l’inestetismo inizia a creare disagio, può essere valutato un piccolo intervento chirurgico in regime ambulatoriale e in anestesia locale: si tratta di un’incisione utile per rimuovere la “capsula” che presumibilmente si è formata intorno alla ghiandola e che intrappola le secrezioni», spiega l’esperto. «In genere, per evitare cicatrici, si interviene dall’interno della palpebra. Meno spesso si procede dall’esterno, mettendo poi dei punti».

Come si previene il calazio

Possiamo prevenire il calazio sottoponendoci a regolari visite oculistiche, perché lo specialista è in grado di osservare gli sbocchi delle ghiandole di Meibomio lungo il margine palpebrale, in modo da correre ai ripari in caso di necessità.

«Qualora si rilevino delle criticità, si può consigliare il ricorso a lacrime artificiali per mantenere l’occhio idratato oppure a colliri cortisonici per abbassare il livello di infiammazione locale», conclude il dottor Di Meglio. «In più, vengono forniti alcuni consigli comportamentali: per esempio, chi utilizza molto i dispositivi elettronici deve utilizzare degli occhiali con filtro anti luce blu e rispettare la regola del 20/20/20: ogni 20 minuti di visione da vicino bisogna fissare un punto distante almeno 20 piedi, poco più di sei metri, per almeno 20 secondi. E infine bisogna trascorrere del tempo all’aria aperta, in modo da riabituare i nostri occhi alla visione da lontano».


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