Si è tenuta da poco a Torino la prima edizione di Change in Cardiology, convegno che ha riunito ben 600 tra i più autorevoli cardiologi europei e statunitensi, con l’obiettivo di fare il punto sulle nuove terapie salvacuore.
«Nel mondo, negli ultimi 20 anni la mortalità per le malattie cardiovascolari si è ridotta del 25%, ma oggi si attesta ugualmente al 36% e quindi a cifre che sono ancora allarmanti», spiega Giuseppe Musumeci, direttore della Struttura complessa di cardiologia dell’Azienda ospedaliera Santa Croce e Carle di Cuneo e responsabile scientifico del convegno, insieme al dottor Ferdinando Varbella, direttore della Cardiologia di Rivoli.
Ricerca e tecniche in ambito cardiologico stanno perciò affinando le loro armi contro i nemici del cuore: ecco le novità.
Procedure avanzate per l’infarto
«L’infarto acuto è ancora il killer numero uno, ma oggi l’Italia guida la classifica europea dell’efficacia nel suo trattamento. Merito della diffusione nei centri di cardiologia degli interventi d’angioplastica (in Italia se ne effettuano quasi 40 mila l’anno) che possono vantare a tutto diritto il titolo di salvavita: hanno abbassato dal 30 al 4% il rischio che l’infarto di traduca in un evento fatale.
«Permettono l’immediata rivascolarizzazione del cuore: grazie a un catetere, inserito in un’arteria e fatto risalire sino al cuore, si posizionano nelle coronarie che si sono chiuse degli stent, piccole protesi che le “riaprono”. Il muscolo cardiaco riceve nuovamente sangue e i danni che può subire sono ridotti», spiega il dottor Musumeci.
«Oggi, però, a dar manforte all’angioplastica, c’è un antiaggregante piastrinico di nuova generazione, che rende la procedura ancora più sicura. Quando c’è un infarto, il ricorso agli antiaggreganti è fondamentale: agendo sulle piastrine, evitano che il sangue possa coagularsi e formare nuovi trombi che possono ostruire le coronarie» spiega il nostro cardiologo.
«Questi farmaci, però, possono provocare emorragie in altri distretti del corpo: nel punto di inserimento del catetere, per esempio, o in un’ulcera gastro-duodenale preesistente. Ed è proprio su questo fronte che il nuovo farmaco offre una marcia in più, perché permette un utilizzo “on-off”: viene infuso in vena e, se ci sono sanguinamenti, si può disattivarne l’effetto in pochi minuti, a differenza di quel che capita con i vecchi antiaggreganti che hanno un’azione di diverse ore. Risultato: complicanze ridotte al minimo».
Anticoagulanti più sicuri
Novità anche sul fronte dell’uso degli anticoagulanti, farmaci fondamentali per esempio per chi soffre di fibrillazione atriale, alterazione del ritmo del cuore che aumenta di ben 5 volte il rischio di ictus: mantengono il sangue “fluido”, riducendo il rischio di formazione di trombi e/o emboli.
Sul mercato ne esistono di ultima generazione, i Nao (nuovi anticoagulanti orali), ma sino a oggi venivano sconsigliati ai pazienti fragili, per esempio con insufficienza renale. «Le nuove ricerche hanno invece dimostrato che sono indicati anche a loro», spiega il dottor Musumeci.
«Con tutti i vantaggi che ne derivano: se si utilizzano i vecchi anticoagulanti (come il warfarin) è necessario valutarne gli effetti sulla coagulazione con un esame del sangue quindicinale, in modo da aggiustare “step by step” la dose e seguire schemi di posologia, spesso complicati: se la dose è stata eccessiva rischia di provocare sanguinamenti, se troppo bassa di essere inefficace.
Con i Nao, questi controlli non sono necessari: alle dosi standard, garantiscono efficacia e sicurezza e non ci sono rischi che il loro effetto sia troppo energico o, al contrario, troppo blando. La loro assunzione risulta perciò più semplice e agevole. Uno studio molto recente (Compass) ha inoltre dimostrato che l’associazione tra una bassa dose di uno dei Nao e l’aspirina è in grado di ridurre il rischio di ictus e morte cardiovascolare, anche nei pazienti che soffrono di malattie delle coronarie».
Un nuovo farmaco anticolesterolo
Armi più puntuali anche per abbattere gli eccessivi tassi di colesterolo nel sangue che, soprattutto in chi ha già le coronarie sofferenti o è diabetico, possono essere ad alto rischio perché facilitano la formazione di placche aterosclerotiche e quindi l’eventualità di pericolosi black out nella circolazione sanguigna di cuore e cervello.
«I livelli del loro colesterolo Ldl, ovvero di quello cattivo, devono essere tenuti molto bassi: sotto i 70 mg/dl», precisa il dottor Musumeci. «Per riuscirci, si utilizzano le statine ad alto dosaggio, eventualmente associate all’ezetimibe, ma se questi farmaci non bastano, o se non sono tollerati (capita al 5% di chi li utilizza), oggi c’è una new entry: anticorpi monoclonali che disattivano una proteina (la PCSK9) che regola il meccanismo di immagazzinamento del colesterolo, dimezzando così i valori di quello cattivo e riducendo di conseguenza del 20% il rischio di eventi avversi come infarto, morte e ictus».
Interventi alle valvole cardiache senza bisogno del bisturi
Tra le novità presentate al congresso, ci sono i trattamenti che permettono di riparare le valvole cardiache malate senza bisturi. Due quelli sotto i riflettori: la Tavi e la mitraclip, effettuabili nei maggiori centri italiani di emodinamica.
«Il primo è indicato ai pazienti con “stenosi aortica degenerativa”, una calcificazione della valvola attraverso cui il sangue passa prima di immettersi nel sistema arterioso», spiega il dottor Musumeci.
«Colpisce gli over 60, non esiste terapia farmacologica e l’unica soluzione, quando la malattia è avanzata, è la sostituzione della valvola: con la Tavi, oggi lo si può fare senza anestesia totale e senza dover aprire il torace. Basta un catetere inserito in un’arteria della gamba che posiziona una nuova valvola al posto di quella malata. La mitraclip, invece, è una “graffetta” che, inserita in una vena della gamba con una speciale sonda, permette di riparare la valvola mitrale quando non “tiene bene”. Viene fatta risalire sin nell’atrio sinistro e posizionata in modo tale che pinzi i due lembi sfiancati della valvola, riavvicinandoli. Risultato: la mitrale riacquista la sua tenuta. L’indice di successo dell’intervento è superiore al 95%».
La proteina “killer”
La PCSK 9 ha un ruolo fondamentale nel determinare l’ipercolesterolemia e gli anticorpi monoclonali che la disattivano sono ormai un’arma che abbiamo a disposizione. Due studi del Centro Cardiologico Monzino, pubblicati sul Journal of the American College of Cardiology, hanno però messo in luce che questa proteina ha un’azione cruciale anche nell’attivazione e nell’aggregazione delle piastrine, all’origine dei processi trombotici che scatenano infarti e ictus, e persino nello sviluppo e nella progressione della calcificazione della valvola aortica.
Queste scoperte sono solo un punto di partenza, ma in futuro potrebbero permettere la messa a punto di farmaci per la stenosi aortica degenerativa, al momento orfana di cura, o nuovi medicinali per la prevenzione e la cura delle malattie cardiovascolari.
La prevenzione resta fondamentale
Nonostante i nuovi traguardi di cura, gli esperti a convegno a Torino hanno ribadito che la prevenzione è la prima arma salvacuore. Le regole da seguire: bandire il fumo, killer delle arterie, misurare la pressione arteriosa per identificare (e curare) sul nascere un’eventuale ipertensione che mette sotto stress cuore e vasi sanguigni, dosare il colesterolo nel sangue e, se troppo alto, seguire una dieta povera di grassi (no uova, carni rosse, insaccati e formaggi; sì a pesce e verdure), associandola all’attività fisica regolare.
Dieta e movimento aiutano a mantenere un peso regolare, un ulteriore antidoto contro il colesterolo alto, ma anche una medicina efficace contro il diabete, malattia che mina la salute dell’apparato cardiocircolatorio.
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Articolo pubblicato nel n° 10 di Starbene in edicola dal 19 febbraio 2019