“Me cala la palpebra” è la frase-tormentone di una famosa pubblicità degli anni Novanta, dove uno stanco autista ispanico fermava improvvisamente l’autobus per bere un espresso italiano. Sonnolenza e stanchezza non sono gli unici motivi per cui si abbassano le palpebre, perché ci sono condizioni patologiche che possono causarne la caduta parziale o totale.
«È il caso della blefaroptosi o ptosi palpebrale, che non va confusa con la blefarocalasi», spiega il dottor Maurizio Cavallini, specialista in Chirurgia plastica, responsabile del servizio di Dermatochirurgia presso il Centro Diagnostico Italiano di Milano e presidente della Società italiana di medicina a indirizzo estetico Agorà. «Mentre la seconda è un rilassamento del tessuto palpebrale, tipico dell’età senile, quando la pelle della palpebra “scivola” verso il basso e forma un’antiestetica plica, la blefaroptosi è una vera e propria patologia dove il margine della palpebra superiore scende più in basso rispetto al bordo dell’iride».
Questo abbassamento può essere leggero o coprire del tutto la pupilla, provocando una limitazione più o meno severa del campo visivo.
Blefaroptosi congenita o acquisita
La blefaroptosi può essere congenita oppure acquisita. Nel primo caso è presente sin dalla nascita ed è quasi sempre bilaterale, per cui interessa entrambi gli occhi. «Alla base c’è una malformazione che rende difficoltosa la normale apertura delle palpebre, tanto che i bambini presentano spesso delle ambliopie o degli strabismi legati proprio a questa particolare condizione», descrive il dottor Cavallini.
«Al contrario, la blefaroptosi acquisita è tipicamente monolaterale e si sviluppa più avanti nella vita, in maniera progressiva. In questo caso, le cause possono essere tante».
Quali sono le cause della blefaroptosi
Il movimento della palpebra superiore è permesso dal III nervo cranico, che innerva il muscolo elevatore della palpebra superiore. «Se questo nervo è danneggiato, ad esempio per un’ischemia, il movimento risulta compromesso e in questo caso si parla di origine neurogena», descrive l’esperto. «L’origine è miogena, invece, quando è legata a un processo patologico a carico della muscolatura, come la miastenia gravis o la distrofia muscolare».
Una terza causa di blefaroptosi acquisita può essere una problematica di tipo meccanico, come una cicatrice, un angioma o un tumore palpebrale che non consentono la corretta apertura dell’occhio.
Infine, piuttosto diffusa è la ptosi senile: «Il tendine che solleva il muscolo elevatore della palpebra superiore opera come la corda di una tapparella e va incontro a una progressiva usura, come accade a molti altri tendini del corpo», tiene a precisare il dottor Cavallini. «Quando non riesce più a sollevarsi completamente, qualche “stecca” della tapparella resta abbassata e determina la ptosi».
A quali segni si accompagna la blefaroptosi
Quando la blefaroptosi è acquisita, soprattutto se di origine meccanica o senile, può accadere che il paziente presenti rughe più marcate sul lato interessato dalla ptosi.
«Per tentare di compensare la problematica, infatti, si tende a sollevare la fronte, perché di riflesso si sollevano un po’ anche le palpebre superiori e si riesce a vedere meglio», riferisce il dottor Cavallin. Un altro segno indiretto è una postura piuttosto caratteristica, perché la persona inizia a guardare sollevando molto il mento verso l’alto per vedere in maniera appropriata.
Come si fa la diagnosi della blefaroptosi
La diagnosi di blefaroptosi si basa sull’osservazione dei segni clinici e può avvalersi di un test che misura con una sorta di “righello” la cosiddetta distanza riflessa del margine (MRD), cioè la posizione del margine della palpebra superiore rispetto alla pupilla.
Ovviamente si tiene anche conto dell’età del paziente per richiedere eventuali esami aggiuntivi che servono a escludere oppure ad accertare patologie organiche o condizioni che possano giustificare il problema.
Come si cura la blefaroptosi
Per correggere la blefaroptosi si ricorre a un intervento chirurgico che accorcia il muscolo elevatore della palpebra superiore e il tendine che lo solleva di quei millimetri necessari per ripristinare le giuste proporzioni e, soprattutto, per consentire una corretta visione.
«Si fa un piccolo taglio nella piega palpebrale, la linea che si forma quando apriamo e chiudiamo gli occhi, per cui non permangono segni visibili», assicura l’esperto. L’operazione non richiede ricovero, dura circa 45 minuti (quando la ptosi è monolaterale) e normalmente viene fatta in anestesia locale, perché è richiesta la collaborazione del paziente per aprire o chiudere l’occhio durante i vari passaggi.
«Terminato l’intervento, non viene messo alcun bendaggio e il paziente può subito aprire l’occhio, guadagnando campo visivo rispetto a prima», conclude Cavallini.
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