Altro che denti sani e brillanti, qui c’è poco da sorridere. Se le pubblicità dipingono il fluoro come il migliore alleato dell’igiene orale un nuovo studio pubblicato sulla rivista medica Jama Pediatrics sembra di tutt’altro avviso.
Secondo i ricercatori della York University di Toronto (Canada), assumere questo minerale durante la gravidanza potrebbe addirittura influenzare le abilità cognitive dei nascituri, diminuendo il loro quoziente intellettivo.
E non è la prima volta che il mondo scientifico avanza questa ipotesi: già nel 2017 una ricerca riportata su Environmental Health Perspectives aveva ipotizzato che il fluoro potesse accumularsi nell’ippocampo fetale, l’area del cervello associata a memoria e apprendimento, comportandosi come una sostanza neurotossica. Ma allora perché dentisti e pediatri lo consigliano? Si corrono pericoli anche da adulti?
Lo abbiamo chiesto al professor Roberto Weinstein, direttore scientifico del Centro odontoiatrico Humanitas medical care Domodossola, a Milano.
Utile, ma nei limiti
«Il fluoro trasforma i cristalli di idrossiapatite che formano lo smalto dei denti in fluoridrossiapatite, un minerale molto più resistente all’azione degli acidi corrosivi che si formano in bocca», spiega il professore.
«Questa scoperta, che ormai risale al primo trentennio del Novecento, ha convinto i medici a consigliarne l’utilizzo a partire dal quarto mese di gravidanza, cioè da quando nel feto comincia a formarsi la gemma dentale, in modo da rendere più forti e sani i denti da latte del bambino».
Ma oltre a questa integrazione (che avviene sotto forma di gocce o compresse) riservata alle future mamme e sempre da valutare attentamente con lo specialista, è piuttosto comune ricorrere a collutori e dentifrici fluorati a ogni età, sempre con l’obiettivo di prevenire la carie.
«Nulla di male, se non fosse che il fluoro è contenuto anche altrove, come nell’acqua oppure in alcuni alimenti. Per cui si rischia spesso di eccedere rispetto alla dose di 1 mg al giorno, quota consigliata (nonostante alcuni autori indichino che possa essere superata)», puntualizza l’esperto.
L’acqua, elemento fondamentale
È proprio qui che iniziano i problemi. Un eccesso di fluoro (oltre 4 mg al giorno) può interferire con l’attività di diversi enzimi nell’organismo, alterare il metabolismo delle vitamine e compromettere il funzionamento di reni, surreni, sistema nervoso centrale, fegato, cuore e organi riproduttivi.
Sembra, inoltre, che possa causare un ritardo nella crescita e fluorosi scheletrica, cioè un indurimento anomalo delle ossa associato a dolori e rigidità delle articolazioni, debolezza e paralisi. Per non parlare dei problemi ai denti: sì, proprio quelli che il fluoro dovrebbe proteggere ma che, al contrario, rischiano di apparire opachi, macchiati o scoloriti.
«È bene fare attenzione», raccomanda il professor Weinstein. «Il fluoro è contenuto naturalmente in alcune fonti alimentari, come pesce, frutti di mare, latte, carne e formaggio, ma solitamente si tratta di quantità non così rilevanti. È più importante, invece, il contributo dell’acqua, visto che dovremmo berne almeno un litro e mezzo al giorno: per quella dell’acquedotto, la legislazione italiana è in linea con le direttive europee e fissa un valore massimo di 1,5 mg per litro; al contrario, le minerali vendute in bottiglia presentano grandi variazioni e possono superare quel limite».
In questo caso, però, sull’etichetta deve essere riportata, in caratteri ben visibili, la scritta: “Contiene più di 1,5 mg/l di fluoro: non ne è opportuno il consumo regolare da parte dei lattanti e dei bambini di età inferiore ai sette anni”.
Presente anche in farmaci e barrette
Il fluoro (spesso indicato come fluoruro di sodio) è impiegato anche in alcuni farmaci e diversi prodotti, come gomme da masticare, barrette e bevande proteiche, biscotti e integratori.
«Spesso viene addizionato dall’industria alimentare per contrastare l’azione cariogena degli zuccheri», illustra il professor Weinstein.
«L’unico modo per evitare problemi è controllare l’etichetta, scegliere attentamente l’acqua da portare in tavola e fare in modo che quello del dentifricio sia il nostro unico apporto di fluoro. O, per lo meno, uno dei pochi», conclude l’esperto.
Attenzione alle stoviglie
Un composto del fluoro ampiamente usato è il politetrafluoroetilene, più noto come teflon: resistente e untuoso, viene impiegato come rivestimento delle padelle antiaderenti. In questo caso, però, il pericolo non è tanto nel fluoro in sé, quanto nella presenza, per fortuna sempre più rara nei prodotti moderni, dell’acido perfluoroottanoico (Pfoa), sostanza altamente tossica utilizzata come “emulsionante” nella produzione della patina antiaderente.
Studi condotti dall’Environmental protection agency, l’agenzia americana per la protezione dell’ambiente, hanno accertato che questa sostanza può rimanere per anni nel sangue, danneggiare fegato e apparato riproduttivo, predisporre a malattie cardiache e cancro.
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Articolo pubblicato sul n. 40 di Starbene in edicola dal 17 settembre 2019