Prese dal lavoro, dalla scuola e da altri cento impegni, ci sentiamo come un pesce in acquario, alla ricerca di una boccata di ossigeno. E anche se tiriamo avanti a testa bassa, il nostro organismo ci lancia dei messaggi inequivocabili riunibili sotto una sola parola: astenia. Ovvero un grande senso di spossatezza, che affiora qua e là nelle dichiarazioni un po’ lamentose (“sono distrutta” “sfinita”) e che va affrontato per capire se, al di là di una vita multitasking, l’allarme-stanchezza tragga origine da disfunzioni organiche. Malattie gravi a parte, nelle donne si riscontrano, infatti, alcune diffuse condizioni che vanno correttamente diagnosticate e curate.
La parola a tre esperti.
Sei sicura che non ti manca il ferro?
«Molte donne in età fertile hanno un flusso mestruale abbondante e soffrono, in silenzio, di metrorragia», esordisce la professoressa Alessandra Graziottin, direttrice del Centro di Ginecologia e Sessuologia dell’Ospedale San Raffaele Resnati di Milano e professore a contratto del Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia dell’Università di Verona.
«Come capire se le perdite ematiche sono troppo copiose? La risposta è semplice: cambiare più di cinque assorbenti interni al giorno è un campanello d’allarme che deve indurre la donna ad andare dal ginecologo. La debolezza potrebbe infatti dipendere dalla cosidetta anemia sideropenica, cioè una carenza di ferro che viene perso in abbondanza durante il flusso mestruale. Fatto che provoca una profonda stanchezza fisica e mentale. Gli esami del sangue, con l’emocromo e la misurazone dell’emoglobina, sono quindi fondamentali ma un bravo medico sa riconoscere la donna anemica dall’aspetto: colorito della pelle grigiastro, capelli secchi e sottili, occhiaie, labbra fissurate e congiuntive degli occhi pallide».
È importante fare degli accertamenti per scoprire le cause della metrorragia: dagli squilibri ormonali ai fibromi uterini, dai polipi endometriali all’endometriosi (la proliferazione del tessuto che ricopre la cavità uterina in sedi anomale). Ma ancora più importante è correre ai ripari subito, prescrivendo integratori a base di ferro, acido folico, vitamina B12 e B6, indispensabili per la sintesi dei globuli rossi e spesso carenti nelle donne vegetariane, che hanno abolito la carne, mangiano poca verdura, pochi cereali integrali e legumi, e zero frutta a guscio. Ovvero tutte preziose fonti di vitamine del gruppo B, che non solo fanno “buon sangue” ma partecipano attivamente al metabolismo energetico. Se sono carenti, la donna si sentirà sempre stanca, anche se ha un flusso regolare.
Se la tiroide lavora a rilento
Per scoprire le cause della stanchezza il medico di base prescrive in genere gli esami del sangue, comprensivi dei valori della tiroide, la ghiandola a farfalla posta dietro al collo che rappresenta il motore del metabolismo. Il referto dice che TSH, FT3 e FT4 sono normali. Falso allarme, quindi?
«Esiste un universo sommerso di donne affette da ipotiroidismo subclinico, cioè non ancora conclamato e tale da richiedere gli ormoni sostitutivi ma comunque degno di nota», spiega il professor Salvatore Bardaro, docente di medicina integrata all’Università di Siena e Pavia, autore del libro Stress cronico, sindrome metabolica e inattività fisica (Vanda Editore).
«Si tratta di un quadro non ancora patologico che segnala una “tiroide pigra”, come se viaggiasse con il freno a mano tirato. Il range del TSH che indica una perfetta funzionalità tiroidea è tra 0,5 e 2,5 U.I./litro. Sopra i 2,5 si entra in una zona grigia, che indica un rallentamento della tiroide anche se i valori sono ancora nella norma. Ma basta una leggera pigrizia per riscontrare sintomi quali stanchezza cronica, facile affaticamento con sensazioni di freddo al risveglio, aumento di peso, gonfiori alle gambe, alle mani e agli occhi, capelli secchi, stipsi e tendenza alla depressione, proprio per mancanza di energie».
Che fare, quindi? Aspettare che il motore si spenga del tutto o correre ai ripari? La prima attenzione va alla dieta: niente cibi che rallentano la tiroide, come cavoli, broccoli, rape e soia. Sì, invece, a tutti gli alimenti che la stimolano perché ricchi di quattro minerali preziosi per farla lavorare bene: ferro (carne rossa cotta a basse temperature), selenio (cereali integrali, pollame, uova, fagioli, piselli, yogurt, noci e semi oleosi), zinco (cozze, ostriche, vongole, funghi, cacao amaro, crusca di avena, tuorlo, carne, mandorle, pinoli e anacardi) e iodio, che abbandona nelle alghe nori e wakame, nel pesce e nei frutti di mare. Al limite, per assicurarsi il giusto apporto di questi micronutrienti, si ricorre a un integratore multiminerale.
«Vi sono, inoltre, due sostanze naturali ritenute tireostimolanti: la forskolina, derivata da una pianta della stessa famiglia della menta (Lamiaceae) chiamata Coleus forskohlii, e i guggulsteroni, principi attivi del guggul, pianta orientale usata nella medicina ayurvedica per la sua resina gommosa capace di sostenere il metabolismo».
E se anche tu soffrissi di fibromialgia?
In Italia due milioni di persone (80% donne) soffrono di fibromialgia, una dolorabilità diffusa a muscoli, tendini e legamenti, associata a stanchezza e “nebbia mentale” (fibroflog) conseguente ai disturbi del sonno. Chi ne è affetto, infatti, riposa poco e male.
«Per la diagnosi di fibromialgia il paziente deve avvertire dolore in almeno 11 dei 18 tender point, punti del corpo supersensibili identificati dagli esperti, che rappresentano una mappa del dolore precisa», spiega il professor Umberto Tirelli, specialista in oncologia, ematologia e malattie infettive, direttore della Clinica Tirelli Medical di Pordenone. «Anche i colpi di coda di un’infezione virale o batterica, possono debilitare a lungo l’organismo, sia che si tratti di covid, di mononucleosi, di citomegalovirus, di tubercolosi, di polmonite o della stessa influenza che, a volte, si trascina a lungo, con colpi di coda interminabili. In questo caso la persona avverte una spossatezza estrema che, se si prolunga oltre i sei mesi, dà luogo alla cosiddetta “sindrome da stanchezza cronica”. È dovuta al fatto che il sistema immunitario resta attivato e continua produrre citochine, anche quando il germe è stato eradicato. Tipici segnali, oltre alla fatica riscontrata anche per piccoli sforzi, sono la febbricola e i linfonodi del collo, dell’inguine o delle ascelle ingrossati».
L’arma più efficace, per combattere fibromialgia e postumi di infezioni, è l’ossigeno-ozonoterapia con autoemotrasfusione. Consiste nel prelevare al paziente 200 cc di sangue, arricchirlo di una miscela gassosa di ossigeno-ozono e reinfonderlo subito, tramite lo stesso accesso venoso del braccio. «Chi ha le vene piccole o si impressiona al prelievo di sangue, in alternativa può fare le insufflazioni rettali con sottilissimi cateteri o ricevere direttamente la terapia in vena», sottolinea il professor Tirelli. «L’ozono è un superossigeno con un atomo in più (03 invece di 02) che ha un’attività antibatterica e antivirale. Contrasta gli esiti dei processi infettivi ed è un potente antiossidante: riduce i radicali liberi messi in circolo dai farmaci e dalla malattia e rivitalizza i tessuti in profondità, ossigenando anche il cervello».
L’importante è fare un ciclo di 10 sedute (2 alla settimana) che, in alcune regioni come la Valle D’Aosta, sono convenzionate con il SSN.
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