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Alzheimer: scoperta la proteina che blocca la malattia

Dalla proteina che blocca la malattia al test che la diagnostica in fretta: la ricerca contro questa forma di demenza fa passi da gigante. Leggi qui

iStock




di Isabella Colombo


Il morbo di Alzheimer, che è la forma più comune di demenza, colpisce il 20% della popolazione ultrasettantacinquenne (si contano 25 milioni di casi nel mondo, 600 mila in Italia, dati Censis).

Tutto ciò che sappiamo di questa malattia è stato scoperto negli ultimi 20 anni, perché l'allungamento dell'aspettativa di vita porta la scienza a interrogarsi su come prevenire l'invecchiamento neuronale e cognitivo.


LA PROTEINA CHE BLOCCA LA MALATTIA

P38Y: segnatevi questo codice, perché in futuro ne sentiremo parlare parecchio. È il nome dell'enzima che potrebbe curare l'Alzheimer.

Lo stanno studiando i ricercatori dell'Università del Nuovo Galles del Sud, i quali hanno appena scoperto che la sua mancanza nel cervello è proporzionale al progredire della malattia.

Ma come funziona P38Y? «È un enzima che modula l'attività delle proteine nella zona dell'ippocampo, dove si concentra la memoria, e nella corteccia prefrontale dove hanno sede le capacità cognitive», spiega Lars Ittner, direttore dello studio.

«Abbiamo sperimentato nei topi l'introduzione di questo enzima e verificato che è utile per prevenire la perdita di memoria. Negli uomini potrebbe avere la funzione di ritardare o arrestare la progressione dell'Alzheimer.

Studiando i pazienti affetti dalla malattia abbiamo, infatti, constatato che la presenza dell'enzima P38Y riduce gli attacchi da parte delle placche beta-amiloidi che, quando si accumulano, portano alla morte cellulare, all'atrofia del cervello e quindi alla perdita di memoria».


IL TEST PER LA DIAGNOSI PRECOCE

Il problema è che spesso prendere in tempo la malattia per poterne arrestare o rallentare il decorso è difficile, perché una diagnosi precoce ed efficace non esiste ancora.

Ma anche su questo fronte la ricerca fa passi da gigante: un team dell'Università Pompeu Fabra di Barcellona, in collaborazione con gli atenei di Brescia e Trento, guidato dall'italiana Manuela Ruzzoli, ha scoperto che il cervello del malato di Alzheimer risponde diversamente a una sequenza di toni acustici intervallati in modo casuale e inaspettato da un suono diverso.

Questo vuol dire che in futuro l'Alzheimer si potrebbe diagnosticare in fase precoce attraverso una sorta di ''test dell'udito'', cioè registrando con un elettroencefalogramma le onde cerebrali di un individuo in risposta a certi suoni. «Portare questo test a routine clinica sarebbe uno step abbastanza agile», ha dichiarato la dottoressa Ruzzoli all'Ansa. «Perché non è invasivo e non richiede un'altra specializzazione tecnica».


LA PREVENZIONE FA LA DIFFERENZA

Intanto, negli Usa i malati di Alzheimer negli ultimi dieci anni sono diminuiti dal 24 all'8,6%, come dimostra uno studio dell'Università del Michigan che ha coinvolto 21mila over65.

Uno dei possibili motivi, secondo i ricercatori, è l'aumento del livello medio di istruzione. Un livello culturale più alto è infatti correlato a un cervello più allenato e all'acquisizione di stili di vita più sani, entrambi fattori protettivi contro le demenze.

novembre 2016


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