I nostri occhi possono versare fino a 110 litri di lacrime all’anno, una quantità che potrebbe quasi riempire una vasca da bagno. La produzione di queste goccioline salate può sembrare una banalità, eppure si basa su un meccanismo molto complesso. Lo sanno bene i ricercatori dell’Hubrecht Institute, nei Paesi Bassi, che hanno impiegato anni per riprodurre in laboratorio una versione miniaturizzata e funzionante di una ghiandola lacrimale umana, un “organoide” che permetterà di studiare in dettaglio i fattori che determinano o alterano la secrezione delle lacrime. Sempre in provetta, hanno ricreato anche un modello della congiuntiva dell’occhio umano perché, in effetti, sono diversi i “rubinetti” da cui sgorgano le varie componenti delle lacrime.
«La parte acquosa viene prodotta dalla ghiandola lacrimale principale situata nella zona superiore temporale dell’orbita oculare», spiega l’oculista Lucio Buratto, direttore scientifico di Neovision Cliniche Oculistiche. «Le componenti grasse che riducono l’evaporazione del film lacrimale derivano invece da piccole ghiandole lacrimali accessorie situate nelle palpebre, mentre la parte di muco che facilita lo scorrimento delle palpebre viene secreta da alcune cellule specializzate della congiuntiva».
Le lacrime non sono tutte uguali
È l’ammiccamento delle palpebre che permette alle lacrime di distribuirsi in modo uniforme sulla superficie anteriore dell’occhio per lavarla, disinfettarla e lubrificarla. Successivamente, il liquido lacrimale si raccoglie nell’angolo interno delle palpebre e viene drenato dai puntini lacrimali superiori e inferiori, che lo convogliano nelle cavità del naso attraverso i dotti lacrimali. Recenti studi biochimici hanno però dimostrato che le lacrime non sono proprio tutte uguali: ne esistono tre tipologie differenti, come puntualizza la neurobiologa Enrica Strettoi dell’Istituto di Neuroscienze del Cnr.
«Le più semplici sono quelle basali, che servono a mantenere umettata la cornea e la congiuntiva dell’occhio: prodotte in modo continuo, sono composte da una soluzione salina idratante che contiene molecole antisettiche, come il lisozima, e agenti lubrificanti, come l’oleamide». Ci sono poi le lacrime irritative o riflesse, che fabbrichiamo in modo copioso in risposta a insulti come il vento, la polvere, l’odore della cipolla o la luce troppo forte.
Infine ci sono le lacrime emotive, espressioni di gioia o dolore che vengono scatenate dai segnali nervosi provenienti da una particolare regione del cervello, l’amigdala».
Legate alle emozioni, le lacrime sembrano essere una peculiarità che distingue gli umani dagli altri animali (anche se qualche dubbio inizia a emergere in merito ai cani). Ciò che le caratterizza è il contenuto di endorfine, molecole del benessere che leniscono il dolore.
Secondo una ricerca dell’università australiana del Queensland, pubblicata sulla rivista Emotion, questo tipo di pianto agisce regolando la frequenza del respiro e del battito cardiaco, in modo da controllare meglio lo stato di eccitazione. «È per questo motivo che dopo un pianto liberatorio ci sentiamo sollevati», sottolinea Strettoi.
Questa sensazione la conoscono bene le donne che, numeri alla mano, versano molte più lacrime degli uomini: lo certifica uno studio dell’università di Tilburg, nei Paesi Bassi, che ha coinvolto più di 5mila persone di 37 Paesi diversi. Dai risultati emerge che le rappresentanti del sesso femminile piangono dalle 30 alle 64 volte all’anno, per un tempo medio di 6 minuti, mentre gli uomini lo fanno dalle 6 alle 17 volte all’anno, per una media di 2-3 minuti.
Le donne vincono anche la “maratona” delle lacrime, perché hanno una probabilità quasi doppia rispetto agli uomini di piangere per lunghi periodi di tempo, anche superiori ai 60 minuti. A parte i dati, secondo i ricercatori olandesi, questa differenza di genere sarebbe riconducibile agli ormoni. Un indizio viene dalla stessa composizione delle lacrime emotive, che «contengono la prolattina, un ormone nella donna presente in quantità triple rispetto al maschio», ricorda la neurobiologa del Cnr. Non a caso i suoi livelli aumentano durante la gravidanza, un periodo della vita in cui si può avere il pianto facile.
Il ruolo degli ormoni è ben evidente anche durante la menopausa, quando la ghiandola lacrimale principale inizia a produrre un po’ meno soluzione acquosa, mentre le ghiandole palpebrali riducono la loro secrezione lipidica facilitando l’evaporazione del film lacrimale.
Se la lacrimazione si riduce
«La menopausa è solo uno dei tanti fattori che possono causare alterazioni della lacrimazione e, perciò, la sindrome dell’occhio secco», ricorda il dottor Buratto. I più classici sono «l’avanzare dell’età, il caldo e lo smog, la scarsa idratazione, l’eccessiva riduzione dell’umidità di case e uffici dovuta al riscaldamento e all’aria condizionata, l’uso di lenti a contatto e la permanenza prolungata davanti a schermi di tv, smartphone e tablet. Possono influire anche il make-up, le extension delle ciglia, i tatuaggi sul bordo della palpebra e gli interventi di medicina estetica come il botox e la blefaroplastica.
Ci sono poi alcuni farmaci di uso comune che interferiscono in questo meccanismo fisiologico, come contraccettivi orali, beta-bloccanti per l’ipertensione, antidepressivi e ansiolitici. Infine vanno ricordate alcune malattie autoimmuni che hanno effetti negativi sulle cellule e sulle ghiandole deputate alla produzione del film lacrimale, come ipotiroidismo e ipertiroidismo, artrite reumatoide, lupus, sclerosi multipla e la Sindrome di Sjögren. Talvolta, anche gli interventi di chirurgia oculare possono causare secchezza oculare, ma i sintomi tendono a sparire o a ridursi sensibilmente dopo alcuni mesi».
Sindrome dell’occhio secco: più soluzioni, tutte indolori
Per diagnosticare la sindrome dell’occhio secco e risalire alle sue vere cause è possibile ricorrere a diversi esami. Il più comune è il test di Schirmer, che permette di misurare la quantità di lacrime prodotta con una piccola striscia di carta assorbente inserita delicatamente nella congiuntiva. Più sofisticata è invece la biomicroscopia digitalizzata con lampada a fessura, che consente di studiare le eventuali anomalie del film lacrimale. C’è poi la meibomiografia, per verificare lo stato di salute delle ghiandole di Meibomio che producono la parte oleosa della lacrima.
Infine si può ricorrere all’interferometria, per valutare lo strato lipidico del film lacrimale, e al test di osmolarità, che analizza un campione di lacrime per misurare la concentrazione degli elettroliti al suo interno. Una volta riscontrata la sindrome dell’occhio secco, per alleviarne i sintomi la prima arma è la terapia sostitutiva con lacrime artificiali, ovvero «colliri a base di sostanze più o meno viscose e dense che possiedono azione detergente, lubrificante e disinfettante simile a quella delle lacrime naturali», ricorda il dottor Buratto. «Meglio scegliere le confezioni monodose o senza conservanti, da instillare più volte nell’arco della giornata».
Quando le lacrime artificiali non bastano, si può ricorrere all’occlusione dei puntini lacrimali per trattenere più a lungo le lacrime nell’occhio. «È come mettere un tappo alla vasca per riempirla più in fretta quando dal rubinetto sgorga poca acqua», afferma Buratto. «La procedura, del tutto indolore, viene eseguita dall’oculista applicando dei tappini di collagene, silicone o gelatina che si riassorbono da soli in pochi mesi».
Invece per chi soffre di una disfunzione delle ghiandole palpebrali c’è la tecnica del “probing”, che consiste nella pulizia dei dotti ghiandolari con un’apposita cannula. «È un trattamento ambulatoriale non invasivo che si pratica applicando prima qualche goccia di collirio anestetico», assicura Buratto. Le ghiandole possono essere disostruite anche con una stimolazione termica, a base di luce pulsata. Il trattamento di fototerapia è semplice: la seduta dura pochi minuti ma bisogna fare un ciclo.
Il pianto dopo il sesso
Piangere dopo aver fatto l’amore è un’esperienza più comune di quanto si pensi: è la cosiddetta “disforia post-coitale”, che viene sperimentata da circa 4 persone su 10, sia uomini che donne. Lo dimostrano due recenti indagini condotte ai ricercatori della Queensland University of Technology in Australia. Questa sorta di depressione momentanea postorgasmo si può manifestare con un’improvvisa voglia di piangere, oppure con il desiderio di prendere le distanze dal partner, con un senso di agitazione o con atteggiamenti aggressivi.
Le cause non sono ancora del tutto chiare: sicuramente influiscono gli ormoni del benessere, l’ossitocina e le endorfine, che dopo l’orgasmo calano bruscamente, ma molto potrebbe dipendere anche dalle dinamiche di coppia e dal modo con cui si vive la relazione. Quando il problema è frequente e dura nel tempo, è bene rivolgersi a uno specialista, per evitare che la manifestazione possa incrinare la serenità del rapporto.
Quelle “terribili” colichette
I neonati italiani sono tra quelli che piangono di più al mondo, insieme a canadesi e britannici: lo dimostra uno studio dell’Università di Warwick, basato sui dati di circa 8.700 bambini di vari Paesi (tra cui Italia, Canada, Gran Bretagna, Germania, Danimarca, Giappone e Paesi Bassi) raccolti attraverso i diari compilati dai genitori nei primi tre mesi di vita del bebè.
I risultati, pubblicati su The Journal of Pediatrics, dimostrano che in Italia si registra un tasso più alto di “colichette”: le irrefrenabili crisi di pianto (che durano per più di 3 ore al giorno per almeno 3 giorni a settimana) colpiscono il 20,9% dei neonati di 8-9 settimane contro una media dell’11,5% degli altri Paesi.
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