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Tumore ovarico resistente al platino: cos’è, cause, novità

È stato approvato un nuovo farmaco che dà speranza alle donne con tumore ovarico che non rispondono, o smettono di rispondere, ai trattamenti tradizionali. Si tratta di un anticorpo farmaco coniugato, ben tollerato e che non causa la caduta dei capelli



La maggior parte delle donne con tumore ovarico in fase avanzata viene sottoposta a un intervento chirurgico seguito da una chemioterapia a base di derivati del platino, proprio il metallo prezioso che tutti conosciamo.

«Questo trattamento farmacologico rappresenta la terapia cardine per questo tumore e viene ripetuto più volte nel corso della storia naturale della malattia», spiega la dottoressa Sabrina Cecere, medico oncologo presso l’Istituto Nazionale Tumori IRCCS – Fondazione “G. Pascale” di Napoli.

«Il 70-80% delle donne con carcinoma ovarico risponde molto bene, soprattutto se presenta mutazioni nei geni BRCA1 e BRCA2, diventati noti anche ai meno esperti da quando l’attrice Angelina Jolie si è sottoposta a mastectomia e ovariectomia preventive per evitare di ammalarsi: il platino va proprio ad agire su questi difetti di riparazione del DNA».

Cos’è la resistenza al platino

Il restante 20-30% delle pazienti (primary platinum-resistant) potrebbe non rispondere così bene allo stesso trattamento, ma anche una piccola percentuale delle prime (secondary platinum-resistant) potrebbe sviluppare una resistenza al platino dopo i primi cicli, un po’ come accade con gli antibiotici, che smettono di funzionare.

«Il problema è che le opzioni di trattamento per le pazienti con carcinoma ovarico resistente al platino sono limitate e quelle disponibili comportano spesso eventi avversi, che possono avere un impatto negativo sulla qualità di vita», evidenzia l’esperta.

Resistenza al platino: c'è una novità

La buona notizia è che, dopo l’approvazione nel 2022 da parte della Food and Drug Administration americana, anche l’Unione europea ha di recente autorizzato l’immissione in commercio di mirvetuximab soravtansine, un anticorpo farmaco coniugato (ADC) che si è mostrato efficace nel trattamento del carcinoma ovarico resistente al platino.

«Quasi sempre le cellule cancerose dell’ovaio presentano sulla loro superficie esterna un’elevata espressione di una proteina, chiamata recettore alfa dei folati (FRα)», descrive la dottoressa Cecere. «Mirvetuximab soravtansine si lega a questa proteina e veicola il chemioterapico direttamente nelle cellule tumorali, pertanto solo dove ce n’è bisogno, riducendo al minimo gli effetti collaterali.

Ecco perché può essere utilizzato solamente in quelle donne il cui tumore mostra un’elevata espressione del recettore alfa dei folati: per determinarlo, si effettua un’analisi al microscopio del campione di tumore che era stato prelevato alla paziente per effettuare la diagnosi attraverso l’esame istologico».

Inoltre, stando alle indicazioni fornite dalle autorità sanitarie, il farmaco può essere utilizzato in chi ha ricevuto almeno una ma non più di tre precedenti linee di terapia antitumorale sistemica.

Minori effetti collaterali

Negli studi in cui è stato testato, mirvetuximab soravtansine ha dimostrato una buona tollerabilità e una rapida risposta in termini di riduzione del carico di malattia.

«Inoltre, rispetto al chemioterapico più utilizzato nel carcinoma ovarico platino-resistente, che va somministrato tutte le settimane e causa la caduta dei capelli, questa nuova opzione terapeutica richiede un’infusione endovenosa ogni tre settimane e non determina alopecia», riferisce Cecere.

«Questa nuova classe di farmaci, infatti, rappresenta un modo intelligente e altamente tecnologico per far arrivare la terapia direttamente al tumore, liberando il principio attivo solo dove occorre e preservando i tessuti sani».

L’unico possibile effetto collaterale è una tossicità oftalmica, che si manifesta principalmente con visione offuscata e secchezza oculare: «Solo il 2-3% delle pazienti è costretta a sospendere il trattamento a causa di questi eventi avversi, a cui nella maggior parte dei casi si può trovare sollievo con un semplice collirio ad azione idratante e lubrificante e un attento monitoraggio oculistico», assicura l’esperta.

Grande rivoluzione

Mirvetuximab soravtansine va ad arricchire l’arsenale delle armi disponibili per trattare una patologia denominata “killer silenzioso”, perché la sua diagnosi arriva spesso tardivamente.

«L’addome femminile è “tollerante” verso i piccoli cambiamenti di cui possiamo non renderci conto», ammette la dottoressa Cecere. «In più, rispetto ad altri tumori femminili come quello della cervice uterina o della mammella, non esistono metodiche di screening che permettano di rilevare la malattia in fase precoce, prima della presenza di sintomi, per cui la cui prognosi rimane particolarmente severa».

Solo chi presenta mutazioni dei geni BRCA1 o BRCA2 – scoperte tramite un test genetico – può essere candidata a programmi di sorveglianza intensivi, oltre che a terapie preventive come l’ovariectomia.

«Purtroppo, l’assenza di uno screening porta spesso a una diagnosi della malattia in fase avanzata, quando la neoplasia ha già coinvolto il peritoneo, ovvero la membrana sierosa che riveste la parete addominale», riferisce Cecere.

«Non è un caso se il tumore all’ovaio rappresenta una delle principali cause di morte per tumori ginecologici in tutto il mondo. Per questo motivo, avere un nuovo farmaco a disposizione è fondamentale, soprattutto perché risponde a un’importante esigenza clinica dei medici e delle pazienti, quella di ridurre la tossicità e di aumentare la sopravvivenza, dando speranza anche a quelle donne, primary e secondary platinum-resistant, il cui percorso di vita è molto più complesso».

Uno sguardo al futuro

Ulteriori studi hanno osservato che questo farmaco potrebbe essere utile anche nelle pazienti sensibili al platino, in alternativa alla chemioterapia tradizionale, sempre a patto che la paziente abbia dimostrato un’elevata espressione del recettore alfa dei folati.

«Un giorno, quindi, mirvetuximab soravtansine potrebbe essere approvato e rimborsato anche in prima battuta per chi deve fare i conti con questa patologia insidiosa, che colpisce circa 6.000 donne ogni anno in Italia rappresentando circa il 30% dei tumori maligni dell’apparato genitale femminile», conclude la dottoressa Cecere.


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