«Temevo che perdere il seno volesse dire smettere di essere donna, invece la femminilità è molto più di un paio di tette. Ora amo le mie cicatrici, sono stata la prima al mondo a cui hanno dedicato un reggiseno per donne operate di tumore, e ho realizzato il sogno della vita: sfilare in passerella alla Fashion Week di New York».
Chiara D’Agostino è nella sala d’attesa del Presbyterian Hospital della Columbia University, tra la 168th e Broadway, nell’intervallo tra la scintigrafia ossea e la Tac che deve fare, periodicamente, per “tenere a bada la bestia”: un tumore al seno scoperto quattro anni fa. È una donna alta, corporatura da ballerina. I capelli bianchi, corti. La voce è squillante, ma ferma. Su Instagram ha un account, BeautyThroughTheBeast, la bellezza più forte della bestia, con più di 13mila followers, in cui posa senza paura di mostrare le cicatrici.
La scoperta della malattia
La sua è una storia difficile, ma lei racconta tutto con energia. Solo una volta la voce si romperà per un attimo, lasciando salire le lacrime. Figlia di un calzolaio e di una sarta, emigrati negli Usa dalla provincia di Avellino, Chiara è nata in New Jersey. «Ma amo la mia lingua madre: mi sono laureata in Italiano per insegnarlo. L’estate di quattro anni fa ero tornata dall’Europa con un sacco di progetti. Dopo il divorzio avevo un nuovo compagno, andava tutto a gonfie vele...».
Ma la vita aveva deciso diversamente. «Il 24 ottobre 2014, giorno dei miei 43 anni. Mio padre se n’era andato da un mese, mia madre era persa nei labirinti della mente. Mi trovarono un nodulo di tre centimetri al seno sinistro. Ad agosto la mammografia era andata bene… Purtroppo il tessuto mammario era molto denso, e il nodulo impossibile da scoprire». Chiara non poteva aspettare un momento di più. «Il tumore mi ha insegnato a scegliere in fretta. Ho fatto subito l’intervento: ho tolto anche il seno destro, quello sano, perché non volevo essere asimmetrica».
6 interventi in 6 mesi
«Mi dicevano di rifarmi le tette anche più grosse di come le avevo, che sarei stata uno schianto. Ma non le ho mai amate». Anche perché non è stata fortunata. Dopo 6 interventi in 6 mesi, per le infezioni causate dalle protesi, e la diagnosi di una metastasi ossea, Chiara ha detto basta. «Avevo avuto un tumore, avevo perso i seni e dovevo lottare per vivere. Dovevo ripartire da lì. Ma accettarmi è stata la cosa più difficile che mi sia capitata». Il nemico peggiore? La paura. «Paura di non essere più una donna, di non piacere più».
L’apertura del blog
«Quando decisi di restare al naturale, il mio compagno mi lasciò. Dovetti andare via da casa». Non era tutto. «Non potevo più lavorare per via delle cure. Nel giro di pochi mesi non avevo più nulla. Neanche una famiglia: mio fratello si era indurito nei miei confronti, mia sorella allontanata, come se avessero provato vergogna». E mentre lo dice, la voce si incrina.
Allora ha fatto quello che si deve fare quando tocchiamo il fondo: chiedere aiuto. Ha lanciato una campagna online, raccogliendo in poco tempo 10mila dollari. «Ho incontrato donne come me, senza le tette» (usa spesso questo termine, oltre a “flat”, piatta). Ha aperto un blog, beautythroughthebeast.com, per raccontare la sua storia e ispirare coraggio.
«Lì ho scoperto di avere intorno un sacco di amore e positività. Mi sono talmente innamorata della nuova me, che alla fine ho fatto un selfie in topless dopo essermi tolta le ultime bende». Quello che si vede è una donna, fiera di sé e con lo sguardo luminoso. «Perché resto una donna».
Il reggiseno dedicato a lei
Ora Chiara è un punto di riferimento nella community delle operate di tumore. Le hanno dedicato un reggiseno pensato per le donne come lei: si chiama Chiara Bralette, è stato disegnato dalla AnaOno Intimates. È un corsetto di pizzo nero in vendita a 42 dollari. Poi, due anni fa, la proposta a sorpresa: sfilare in passerella durante la New York Fashion Week a un evento dedicato alle donne uscite dal tunnel della malattia. «Incredibile! Avevo sognato di fare la modella per tutta la vita… va a finire che al tumore devo dire persino grazie...».
Il San Antonio Breast Cancer Symposium, il più importante convegno al mondo dedicato alla cura del tumore al seno, l’ha avuta ospite d’onore a inizio dicembre. Chiara sta anche studiando per diventare Breast Cancer Advocate. «Come mi hanno insegnato le amiche di Underneath we are women (Sotto sotto siamo donne), anche se i nostri corpi non sono più perfetti noi restiamo quelle di prima. Anzi, migliori perché andiamo dritte al cuore delle persone. Non devo chiedere scusa se mi sono ammalata, e certe volte sono difficile da sopportare. Non ho più tempo per fingere». Anche il tempo di attesa per la Tac è finito. Chiara si alza con leggerezza, ma ha ancora una cosa da dire: «Ora quando abbraccio qualcuno lo sento fino in fondo. È una bellissima sensazione». Ed è con un abbraccio che si congeda prima di sparire oltre la porta di legno della sala d’attesa.
Anche loro ci mettono le tette
Metterci la faccia non bastava, così ci ha messo le tette. Carla Diamanti, reporter di viaggi, era andata per un controllo di routine e ha scoperto di dover resettare la sua vita. Oggi può raccontare la sua storia grazie all’ospedale Valdese di Torino, una struttura di eccellenza specializzata in diagnosi precoci ma che ha rischiato la chiusura. Fresca di guarigione, Carla è salita sulle barricate dando vita nel 2012 a Mettiamoci le tette: di fronte all’ospedale ha attrezzato un camerino fotografico dove farsi un autoscatto a seno nudo senza riprendere il viso. L’evento si è trasformato in un movimento che per cinque anni ha lottato (Carla fu la prima firmataria del ricorso al Tar piemontese) finché la struttura non è stata riaperta. Dal 2017 Mettiamoci le tette è una onlus, ha sede dentro l’ospedale e gestisce l’attività di supporto ai medici. Per informazioni: [email protected].
Si può combattere
Il tumore al seno si vince con la diagnosi precoce (tra il 2010 e il 2017 le donne sopravvissute sono il 26% in più) e affidandosi a mani esperte. Secondo il Ministero della salute (dati annui del 2017), gli ospedali dove si opera di più, quindi si cura meglio, sono l’Istituto europeo di oncologia di Milano (2886), l’Istituto Humanitas di Rozzano Milanese (969), il Sant’Anna di Torino (942), il Gemelli di Roma (905) e l’Istituto nazionale dei tumori di Milano (896).
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Articolo uscito sul n. 52 di Starbene, in edicola dall'11 dicembre 2018