di Ida Macchi
Dal 25 novembre l’Italia si adegua a una direttiva Europea del 2003, cambiando i turni dei medici negli ospedali: le ore massime di lavoro settimanale saranno 48, quelle delle giornate più lunghe 13, quelle di riposo garantito 11 e saranno bandite le notti che iniziano alle 8 di sera, per finire la mattina seguente ben dopo le 10. «Una buona notizia, che aspettavamo da tempo, perché così i malati avranno medici più lucidi», commenta Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva. «È ormai dimostrato da numerosissimi studi che il surmenage lavorativo incide sulle prestazioni dei professionisti della salute: con troppe ore di lavoro sulle spalle e un accumulo di stress aumenta il rischio di errori che, in sala operatoria o in corsia, possono essere fatali. Non solo: uno specialista più riposato può meglio gestire il rapporto medico-paziente, a partire dal consenso informato che, complici i ritmi serrati, viene spesso liquidato con troppa fretta». Insomma, una grande conquista che tutela i diritti dei lavoratori della sanità, ma soprattutto quelli dei malati perché, come commenta il Ministro Beatrice Lorenzin, «i medici sino a oggi hanno tenuto in piedi la categoria, anche lavorando oltre l’orario, anche ammalandosi. Ma, come nel caso del pilota di un aeroplano, la domanda è questa: gli affidereste la vostra vita se non dormisse da 72 ore?».
ORGANICI ALL’OSSO E NUOVE ASSUNZIONI
Di fatto, non tutti gli operatori della salute concordano che la nuova direttiva che sta per entrare in vigore sia vantaggiosa per i malati. «Per rispettare i nuovi orari, molti ospedali si troveranno a far fronte a un’improvvisa insufficienza di personale: sono quelle strutture che, sino a oggi, sono andate avanti grazie a medici che si sottoponevano a turni massacranti per rimediare ai “buchi” creati dal blocco delle assunzioni e che ora, per rispettare la direttiva europea, si troveranno ancora più sguarnite di personale, ospedali di regioni come per esempio la Campania, il Molise o la Calabria, che devono far fronte ai piani di rientro finanziario. «Per rimediare, infatti, è stato calcolato che sarebbero necessarie 20mila nuove assunzioni e, conferma Tonino Aceti, «occorrerà mettere in campo nuovi fondi per garantire a ogni struttura il giusto organico. È però fondamentale che Asl e ospedali facciano un conteggio preciso dei posti che rimarranno scoperti con i nuovi orari, per poter distribuire i medici in modo mirato e salvaguardare la giusta assistenza a tutti. Il Ministro della Salute Lorenzin assicura: «Stabilizzare i precari e garantire la ripresa del turn over sono i nostri obiettivi: non potremo fare tutto quest’anno, ma prenderci un impegno per i prossimi anni sì».
LA NORMA NON PUO’ ESSERE UGUALE PER TUTTI
«Ma davvero il nostro Paese in questo momento si può permettere di assumere 5mila o forse 20mila medici in più? Non lo so, non penso», sottolinea il dottor Giuseppe Remuzzi, direttore del Dipartimento di Medicina dell’Ospedale di Bergamo, da sempre attento al funzionamento del nostro Servizio Sanitario Nazionale. «C’è una soluzione sola, a me pare. Fare quello che si può con le risorse che abbiamo e nel miglior modo possibile. Certo, si tratta di un grande impegno che è un po’, a dire il vero, quello che si richiede a chi sceglie questo lavoro. Se proprio volessimo applicare le regole UE alla lettera, perciò, sarebbe più logico farlo dopo aver adeguato gli organici, e non prima. In generale, non sono contrario alla direttiva europea: il medico che per qualunque motivo ha bisogno di 11 ore di riposo, non solo dopo il turno serale, ma anche prima, è giusto che lo faccia. Non si può però obbligare tutti per forza. La legge dovrebbe dare solo indicazioni di massima che andrebbero applicate con un po’ di buon senso in rapporto alle circostanze e alle necessità. Lavorare in sala operatoria non è come essere impegnati in un ambulatorio, i giorni nel lavoro di un medico non sono identici uno all’altro, la fatica non scatta per ciascuno, come una spada di Damocle, allo scadere delle 13 ore di fila. Insomma, sarebbe giusto lasciare ai dottori e a chi dirige le strutture la facoltà di decidere cosa fare in ogni circostanza: senza scadenze prestabilite e tassative».
Articolo pubblicato sul numero 48 di Starbene in edicola dal 17 novembre