di Claudio Buono
Stando alle classifiche sull’efficienza assistenziale, l'Italia risulta addirittura al terzo posto tra i migliori sistemi sanitari al mondo. Questo sulla carta. Ma purtroppo alla teoria non corrisponde la pratica e a farne le spese è chi la sanità la vive sulla propria pelle, vale a dire tutti noi cittadini. Ma quali sono le richieste più urgenti da parte dei malati? Lo abbiamo chiesto a Tonino Aceti, il coordinatore nazionale di Cittadinanza attiva del Tribunale per i diritti del malato. E assieme a lui ci auguriamo che vengano risolte e rese operative al più presto.
1. Ridurre le liste d’attesa e i costi dei ticket
«Oggi l’accessibilità alle prestazioni pubbliche è il vero anello debole del Servizio sanitario nazionale, ed è anche la prima questione segnalata dai cittadini alla nostra organizzazione», puntualizza Tonino Aceti. «Un cittadino su quattro si lamenta delle liste d’attesa troppo lunghe, che spesso non tengono neppure conto delle esigenze diagnostiche e terapeutiche urgenti legate a malattie importanti come quelle oncologiche». E addirittura, per alcune prestazioni, il ticket supera il costo richiesto dei trattamenti privati. «Ci auguriamo che i cittadini non debbano più sentirsi costretti dalle istituzioni a utilizzare i servizi privati o l’intramoenia come normali canali d’accesso alle prestazioni sanitarie di cui hanno bisogno», sottolinea l’esperto.
2. Più risorse per la prevenzione
Tutti concordano che la prevenzione sia la prima strategia per garantire da un lato un più alto livello di salute ai cittadini e dall’altro la sostenibilità del Servizio sanitario pubblico. «Malgrado ciò, non solo nel nostro paese spendiamo troppo poco per la prevenzione, ma non lo facciamo neanche al meglio, tanto che in Europa siamo il fanalino di coda in questo ambito», precisa Aceti. «Chiediamo quindi che Stato e Regioni si facciano carico di un maggior impegno per fare aderire ai principali programmi di screening nazionale (come quelli per il tumore al seno, all’utero, al colon) il maggior numero possibile di adulti. E aggiungo che bisogna fare di più in tema di promozione dei corretti stili di vita, a partire dall’età scolastica, momento cruciale per la formazione del futuro cittadino».
3. Ridurre le differenze e l’accesso alle prestazioni da regione a regione
«Vogliamo un servizio sanitario più equo, che dia le stesse opportunità di cura su tutto il territorio nazionale», sottolinea l’esperto. «Oggi purtroppo non è così: ci sono regioni che garantiscono ai cittadini prestazioni di gran lunga migliori rispetto ad altre. E non di rado al danno si aggiunge la beffa: a fronte di servizi scadenti, le regioni “meno fortunate” si ritrovano a far pagare tributi ben più alti (irpef, ticket). Aggiungo, poi, che le amministrazioni regionali devono garantire il diritto alla salute anche alle popolazioni che vivono in zone, come quelle montane o nelle piccole isole, che spesso si ritrovano prive dei servizi essenziali (ambulatori, pronto soccorso, ospedali)».
4. Più sostegno alle famiglie che si fanno carico di condizioni di fragilità
I tagli alla sanità pubblica hanno spostato l’ago della bilancia a favore dei servizi di emergenza (come i pronto soccorso). E hanno eliminato l’assistenza alle cosiddette “fragilità”: malati cronici, persone affette da disabilità, per non parlare del vero allarme odierno, le demenze (vedi Alzheimer). «Per tutte queste situazioni è in atto una vera e propria delega assistenziale alle famiglie, non solo economica (si pensi alle spese da sostenere per l’assistenza domiciliare di badanti, infermieri privati, per esempio). Spesso, infatti, curare da soli questi malati significa rinunciare al proprio lavoro e alla vita di relazione, che a lungo andare può causare stress, depressione, esaurimento psicofisico».
5. Permettere a tutti di accedere alle vere innovazioni in ambito sanitario
Il caso più eclatante riguarda l’epatite C, una patologia molto diffusa in Italia, che addirittura potrebbe essere eradicata grazie all’utilizzo di alcune terapie farmacologiche oggi disponibili. «Ma al momento non tutti i malati di epatite C possono accedere a queste terapie innovative», sottolinea il coordinatore nazionale di Cittadinanza attiva del Tribunale per i diritti del malato. «L’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) ha infatti deciso che solo i pazienti affetti da fibrosi epatica, una particolare condizione che porta allo sviluppo della cirrosi, possono usufruire di questo trattamento terapeutico. Ma precludere la possibilità di cura dell’Epatite C a chi non rientra in determinati parametri di gravità non ci sembra il modo migliore di affrontare una malattia, che oltretutto permetterebbe un grande risparmio alle casse pubbliche (niente più costi per trapianti di fegato e terapie oncologiche per l’epatocarcinoma, che questa malattia può sviluppare)».