Sono promettenti i dati che dimostrano l’efficacia fino a cinque anni di ofatumumab, un trattamento effettuabile a domicilio e diretto contro una specifica popolazione di globuli bianchi, i linfociti B, coinvolti nel processo di attacco e danneggiamento della mielina nella sclerosi multipla. In particolare, questa terapia è destinata ai pazienti che soffrono della forma recidivante-remittente, che interessa circa l’85 per cento delle 137 mila persone diagnosticate solo in Italia: numeri che, con un’incidenza di 1.600 nuovi casi annui soprattutto nella fascia d’età 25-40 anni, rendono la sclerosi multipla la prima causa di disabilità neurologica non traumatica nei giovani adulti.
Cos’è la sclerosi multipla a decorso recidivante-remittente
La sclerosi multipla, che colpisce circa 2,3 milioni di persone in tutto il mondo, è una malattia cronica infiammatoria e neurodegenerativa del sistema nervoso centrale che ostacola il normale funzionamento del cervello, dei nervi ottici e del midollo spinale.
«Si tratta di una patologia autoimmune causata da un malfunzionamento del sistema immunitario, che “attacca” per errore la mielina, cioè la guaina che ricopre le fibre nervose, vitale per il corretto funzionamento del sistema nervoso», descrive la professoressa Matilde Inglese, responsabile del Centro Sclerosi Multipla dell’Ospedale IRCCS San Martino di Genova.
A seconda del decorso clinico, la sclerosi multipla viene classificata in tre forme: recidivante-remittente, secondariamente progressiva e primariamente progressiva. L’85 per cento dei pazienti è interessato dalla prima forma, caratterizzata da episodi acuti di malattia (ricadute) alternati a periodi di completo o parziale benessere (remissioni). «Questi pazienti manifestano inizialmente una sintomatologia neurologica, come un deficit della vista, della forza o della sensibilità, che tende a risolversi spontaneamente oppure con l’aiuto della terapia steroidea per poi ritornare e magari scomparire di nuovo, prima di un’altra manifestazione. In altre parole, questa forma è contraddistinta da ondate infiammatorie, che, in base alla localizzazione, possono dare sintomi molto diversi tra loro».
«Nell’arco di 15-20 anni, la metà di questi pazienti va incontro alla forma secondariamente progressiva, dove tende a spegnersi l’infiammazione, non ci sono più ricadute, ma prevale il peggioramento progressivo della malattia con sintomi permanenti, che diventano man mano più invalidanti».
Esiste infine una piccola percentuale di pazienti, circa il 10 per cento, che sin dall’esordio della malattia non ha ricadute cliniche, ma un subdolo, lento e continuo peggioramento: è la forma primariamente progressiva, dove quasi sempre viene compromessa la forza degli arti inferiori, per cui si va verso una difficoltà nel camminare in modo autonomo.
Come funziona ofatumumab
Il nuovo farmaco, l’ofatumumab, è destinato agli adulti con forme recidivanti di sclerosi multipla. «Si tratta di un anticorpo monoclonale da somministrare una volta al mese, per via sottocutanea, che può essere prescritto ai pazienti con ricadute e remissioni in un range di età tra i 18 e i 55 anni con precise caratteristiche», evidenzia la professoressa Inglese.
In generale, è l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) a stabilire i criteri e le modalità di prescrizione dei farmaci per ciascuna forma di sclerosi multipla: i farmaci di prima linea (in cui rientrano interferoni, glatiramer acetato, dimetilfumarato e teriflunomide) sono terapie immunomodulanti a moderata efficacia clinica ma con un elevato profilo di sicurezza, i farmaci di seconda linea invece (in cui rientra l’ofatumumab, insieme al “cugino” ocrelizumab e ad altre terapie, come fingolimod, natalizumab e alemtuzumab) sono trattamenti ad alta efficacia clinica ma con un profilo di sicurezza inferiore, per cui richiedono un maggiore monitoraggio in quanto – sopprimendo di più il sistema immunitario per controllare meglio la malattia – possono comportare il rischio di sviluppare infezioni e altri effetti collaterali.
A chi può essere prescritto l'ofatumumab
«L’ofatumumab può essere prescritto ai pazienti con forme recidivanti che siano già stati trattati con una terapia di prima linea ma senza successo oppure a chi, sin dall’inizio, presenti delle caratteristiche di attività della malattia così elevate da giustificare subito il ricorso a un farmaco di seconda linea», racconta la professoressa Inglese.
«Ovviamente, va fatta una serie di valutazioni, a partire da quella del sistema immunitario, perché i farmaci di seconda linea non sono idonei per i soggetti immunodepressi. E ovviamente bisogna fare uno screening infettivologico, andando alla ricerca di eventuali infezioni, anche quelle latenti». Un ulteriore screening necessario è quello delle vaccinazioni ricevute dal paziente, in modo tale da supplementare le difese contro le malattie per cui non è coperto (come varicella, rosolia, morbillo, meningite, pneumococco, influenza).
In cosa si differenzia l'ofatumumab dagli altri farmaci
Rispetto al “cugino” ocrelizumab, di simile efficacia, l’ofatumumab è un anticorpo monoclonale interamente umanizzato (con minore rischio di reazioni allergiche) che va somministrato una volta al mese tramite siringhe preriempite, anziché per via endovenosa. «Questo consente una maggiore indipendenza per i pazienti, che possono curarsi a casa dopo un opportuno addestramento, senza doversi recare nel centro di riferimento», spiega la professoressa Inglese.
Quanto è efficace l'ofatumumab
Negli studi di fase III, l’ofatumumab ha dimostrato superiorità rispetto al farmaco di comparazione (teriflunomide) nel ridurre di oltre il 50 per cento le ricadute cliniche e di oltre il 95 per cento le lesioni demielinizzanti visibili alla risonanza magnetica.
«Al momento, è stata dimostrata l’efficacia fino a cinque anni, ma l’auspicio è che questa sia ancora più estesa e si mantenga nel tempo», riferisce la professoressa Inglese. «A confermarlo saranno i cosiddetti studi di real life, fondamentali per validare i dati ottenuti in un ambiente più artificioso, come quello dei trial clinici randomizzati. Gli studi di real life consentiranno di osservare il farmaco nella pratica clinica, aggiungendo ulteriori informazioni su efficacia e sicurezza».
Sclerosi multipla, le nuove prospettive
Nel frattempo, la ricerca continua e non si arrende. In fase di sperimentazione è l’inibitore selettivo della tirosin-chinasi di Bruton, un farmaco utilizzato in campo ematologico e adesso sperimentato anche sui pazienti con sclerosi multipla nelle tre diverse forme cliniche: «Si tratta di un trattamento interessante perché lavora sia sulla componente periferica della malattia, sia sull’infiammazione centrale, andando ad agire sulle cellule immunitarie residenti nel sistema nervoso centrale», conclude l’esperta.
«Ma ci sono anche sperimentazioni con cellule staminali, ematopoietiche e neurali, con l’obiettivo non soltanto di spegnere l’infiammazione e tenere il sistema immunitario sotto controllo, ma anche di favorire la rimielinizzazione e proteggere il tessuto cerebrale».
agosto 2023
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