A inizio luglio 2019 molti portali d’informazione italiani hanno diffuso la notizia che ha visto protagonista una bambina britannica, ricoverata in ospedale dopo che si era fatta fare un tatuaggio temporaneo all'hennè nella località turistica in cui si trovava con i suoi genitori.
Madison, questo il suo nome, si era fatta fare un tatuaggio con l’hennè nero e poco dopo ha avuto una reazione allergica particolarmente grave, con tanto di vescicole ed eritema nella zona interessata.
Il caso, però, risale a ben due anni fa, al 2017, e si trattava di un caso circoscritto. In più il tema delle reazioni allergiche ai tatuaggi temporanei è già stato abbondantemente trattato, al punto che la Food & Drug Administration (l’organismo di controllo dei farmaci e degli alimenti negli Stati Uniti) ha dedicato loro una pagina di informazione con lo scopo di risolvere tutti i dubbi possibili.
Il messaggio che gira oggi, corredato dalla foto di Madison, prende di mira qualsiasi tatuaggio temporaneo possibile. Il testo cade spesso nell’allusione razzista: «ai genitori, nonni, zii, amici che cedono ad offrire tatuaggi temporanei ai ragazzi e adolescenti in vacanza (di solito sono molto persuasivi), state molto attenti con tatuatori africani (no, non è razzismo)» e indica il vero colpevole di queste reazioni allergiche: la possibile (ma non sicura) presenza di p-fenilendiammina (PPT), una sostanza impiegata come agente scurente nelle tinture per capelli e che può dare allergia alle persone che ne sono sensibili.
Si tratta di un caso di mero allarmismo. Un tatuaggio all’henné nero può scatenare una reazione allergica nelle persone che ne sono effettivamente allergiche. Non si tratta di un pericolo generalizzato così come non è detto che qualunque tatuatore ne faccia necessariamente uso. A ciò si aggiunge la raccomandazione – quasi scontata – di prestare attenzione alle sostanze con cui viene fatto un tatuaggio - sia temporaneo che permanente – prima di farselo fare.
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Articolo pubblicato sul n. 32 di Starbene in edicola dal 23 luglio 2019