Gravidanza senza stop: con gli esami giusti l’aborto non si ripeterà

Non ti demoralizzare! Se hai perso un bimbo fai subito i controlli per andare a fondo del problema



3568Aborti spontanei: stando agli ultimi dati Istat, sono in aumento. «Non è vero», smentisce subito il dottor Enrico Semprini, ginecologo e immunologo riproduttivo a Milano, «è solo la loro registrazione, da parte della sanità pubblica, che è più precisa. Complice il test di gravidanza che si effettua dopo pochissimi giorni di ritardo, le donne oggi si accorgono di aborti precoci che un tempo sfuggivano
a ogni casistica. Di fatto, il numero di interruzioni di gravidanza spontanee è sempre uguale, e molte di queste vengono ancor oggi liquidate come frutto della sfortuna o del caso. Insomma, spesso manca una vera e propria diagnosi, resa possibile da tecnologie sempre più avanzate, che permette di capire che cosa, a un certo punto, si è “inceppato”. Perché solo riuscendo a trovare un perché agli aborti spontanei è possibile migliorare i successivi tentativi di dare alla luce un bebè. Invece, spesso, a un primo aborto ne segue un altro che poteva essere evitato».

Ecco, quindi, tutto quello che dovresti sapere per evitare di vivere più volte l’esperienza traumatica e dolorosa di una gravidanza interrotta.


ERRORI CROMOSOMICI

Le anomalie cromosomiche sono la causa del 70-80 per cento degli aborti spontanei. In pratica: il piccolo eredita un patrimonio genetico (il corredo dei 46 cromosomi che contengono le informazioni utili alla vita) imperfetto. L’aborto, a quel punto, è il modo con cui madre Natura corregge l’errore. Come tutti gli altri aborti, quello per anomalie cromosomiche si manifesta con una serie di sintomi che compaiono entro le prime dodici settimane di gestazione: improvvisa scomparsa della tensione del seno e della nausea, che caratterizzano i primi tempi, forti dolori al basso ventre (dovuti alle contrazioni con cui l’organismo cerca di espellere l’embrione dall’utero) e perdite di sangue. La conferma che la gravidanza si è interrotta è data dalla scomparsa del battito cardiaco, evidenziabile con un’ecografia.

Il consiglio dello specialista

«Oggi è possibile accertare se l’embrione ha ereditato una trisomia, cioè un cromosoma in più, che ha indotto la natura a interrompere la gravidanza», spiega il dottor Semprini. «Basta fare un esame citogenetico sul tessuto placentare: le cellule vengono coltivate ed esaminate, oppure viene estratto il loro Dna, in modo da valutare cromosoma su cromosoma la presenza di eventuali anomalie».
Una volta fatta la diagnosi, non è necessaria alcuna terapia perché l’aborto cromosomico non è una malattia, né un segnale di infertilità. Va “solo” accettato così com’è: significa che quell’embrione non aveva i “numeri giusti”, compatibili con la vita. Il lato positivo di questa esperienza? Dopo una prima interruzione per anomalie cromosomiche, l’eventualità che la cosa si ripeta cala drasticamente: capita a una donna su 1000 a una seconda gravidanza, e scende a una su 10 mila a un terzo tentativo di mettere al mondo un bebè. Il ginecologo, perciò, deve limitarsi a prescrivere alcuni esami per valutare se vi sono ulteriori fattori (infezioni genitali, anomalie dell’utero e fattori immunologici) che potrebbero concorrere al fallimento di una seconda gravidanza.


INFEZIONI MATERNE

L’aborto si manifesta con gli stessi sintomi di quello per anomalie cromosomiche. Però, è più frequente nelle donne che soffrono di cistiti o infiammazioni vaginali, segnalate da perdite abbondanti (spesso maleodoranti), dolore durante i rapporti, prurito e senso di pesantezza al basso ventre. «Se questi piccoli-grandi disturbi vengono trascurati, possono “trascinarsi” fino all’inizio di una gravidanza. Senza contare che vi sono alcune infezioni a trasmissione sessuale che possono non dare sintomi», puntualizza Semprini. «Al momento del concepimento, però, tutti i nodi vengono al pettine perché i germi creano un ambiente ostile allo sviluppo dell’embrione, fino a causare un aborto. I nemici più temibili? Micoplasma, clamidia e ureaplasma.

Il consiglio dello specialista

È sempre importante effettuare un tampone del collo dell’utero. Se il test è positivo, viene prescritta per una decina di giorni una cura antibiotica, spesso estesa anche al partner». Terminata la cura, il tampone va ripetuto per avere la certezza che i nemici siano stati eliminati. Debellata l’infezione, la possibilità di portare a termine una gravidanza torna a essere identica a quella di un’altra aspirante mamma della stessa età.


ABORTO IMMUNOLOGICO

Non dà sintomi diversi dagli altri aborti, ma è causato dal sistema di difesa dell’organismo materno che produce anticorpi armati contro le sue cellule “maschili”: possono determinare la formazione di trombi che riducono, o bloccano, il flusso di sangue placentare che nutre l’embrione. In genere, l’aborto immunologico non è frequente e colpisce più spesso chi soffre di malattie autoimmuni o disfunzioni della tiroide.

Il consiglio dello specialista

La diagnosi? Fai un esame del sangue che ricerca gli anticorpi antinucleo e anticardiolipina, oltre agli anticorpi diretti contro la tua tiroide. Purtroppo, allo stato attuale della ricerca, non esiste un farmaco in grado di disattivare questo esercito di “autoanticorpi”. Identificarne la presenza prima di avviare una seconda gravidanza, però, ti permetterà di mettere in campo alcune strategie per ridurre il rischio di una cattiva irrorazione della placenta. «In questo caso, si prescrive alla mamma una bassa dose di acido acetilsalicilico (la comune Aspirinetta) per tutta la durata della gravidanza: serve a prevenire la formazione di trombi», suggerisce Semprini. «Nel caso siano stati evidenziati anticorpi anticardiolipina, nell’ultimo trimestre di gravidanza si può associare anche l’eparina, un altro farmaco antitrombotico». Grazie a questa profilassi, puoi sperare di portare a termine la seconda gravidanza fin dal mese successivo all’aborto spontaneo.


MALFORMAZIONI UTERINE

La gravidanza può interrompersi anche per colpa di malformazioni dell’utero (comuni a una donna su 30) che ne rendono più difficile il proseguimento. Se, per esempio, è diviso in due parti da una membrana fibrosa (utero setto), o ha le due metà unite in una parte sola (utero unicorno), il rischio d’aborto è statisticamente più frequente. Stessa cosa vale per la presenza di polipi, fibromi o aderenze cicatriziali, conseguenti a un intervento, che possono disturbare lo sviluppo dell’embrione.

Il consiglio dello specialista

«Per visualizzare queste anomalie è sufficiente fare un’isteroscopia, che va programmata circa 20 giorni dopo l’aborto», spiega l’esperto. «La terapia è, in genere, chirurgica. Non bisogna, però, generalizzare: l’intervento va valutato caso per caso. Se i rischi sono maggiori dei benefici, non si interviene subito e si sta a vedere come procede la seconda gravidanza. Esiste, infatti, un altissimo numero di gravidanze portate felicemente a termine, anche in presenza di utero malformato. Se, invece, si opta per la “correzione chirurgica” delle anomalie (o per l’asportazione di polipi, fibromi e aderenze), potrai riprovare a restare incinta dopo un mese dalle dimissioni dall’ospedale».


Gli esami da fare se vuoi essere tranquilla

Esame citogenetico: serve per diagnosticare le interruzioni di gravidanza per anomalie cromosomiche. Si effettua su un campione di tessuto placentare prelevato durante il raschiamento.
Occorrono venti giorni per avere l’esito dell’esame colturale, e da tre a dieci giorni per quello effettuato con l’estrazione del Dna (circa 150 euro nei centri privati).

Tampone del collo dell’utero: si effettua per individuare la presenza di infezioni dell’apparato genitale. è un esame indolore simile al Pap test, che analizza le cellule cervicali. Il risultato si ottiene nel giro di una settimana, ma nei centri pubblici l’attesa dell’esito può essere più lunga. Se il test è positivo, si fa una terapia antibiotica (ticket: 36 euro).

Ricerca anticorpi antinucleo e anticardiolipina: serve a diagnosticare le interruzioni di gravidanza di tipo immunologico. è un esame del sangue che ricerca la presenza o meno di anticorpi potenzialmente a rischio. Normalmente, l’esito si ha dopo una settimana (ticket: 10-15 euro).

Isteroscopia: serve a diagnosticare eventuali malformazioni dell’utero. Con uno strumento a fibre ottiche, introdotto attraverso il collo dell’utero, il ginecologo ne visualizza la cavità interna. Oggi, questo accertamento può essere associato a un’ecografia ad alta risoluzione o tridimensionale. La diagnosi è immediata (ticket: 100 euro).