Una nuova scoperta, tutta italiana, è destinata a rivoluzionare tempi e modi con cui viene diagnosticato il morbo di Parkinson, una malattia neurodegenerativa che in Italia colpisce oltre 300.000 persone, con circa 6.000 nuovi casi all’anno.
L’invecchiamento generale della popolazione, che oggi vive molto più a lungo di 50 anni fa, crea infatti i presupposti per un’estensione a macchia d’olio delle patologie tipiche della “terza età”. La scoperta è stata presentata nel corso del 52° Congresso Nazionale della SIN (Società Italiana di Neurologia), che si è svolto a Milano dal 3 al 6 dicembre 2022. Ecco in che cosa consiste il nuovo test salivare e qual è la sua portata rivoluzionaria nel campo della neurologia.
La proteina-chiave: quando diventa “tossica”
Negli ultimi decenni la ricerca ha fatto luce sulle cause del Parkinson e sui meccanismi di azione di alcune proteine che giocano un ruolo-chiave nel manifestarsi della malattia. Sappiamo, infatti, che è dovuta alla formazione di aggregati anomali di alfa-sinucleina, una proteina normalmente presente nel nostro organismo, che a un certo punto cambia struttura acquisendo una forma tossica per i neuroni, le nostre cellule nervose.
«Se l’alfa-sinucleina oligomerica (questo è il nome della forma tossica) si accumula in alcune aree del cervello, in particolare a livello della cosidetta substantia nigra che controlla il movimento, viene a meno la cosiddetta plasticità cerebrale e compaiono i primi sintomi», spiega il professor Alfredo Berardelli, ordinario di Neurologia e direttore del Dipartimento di Neuroscienze Umane dell’Università La Sapienza di Roma. «Cominciano così ad apparire i disturbi motori, come la lentezza e la difficoltà dei movimenti (compreso la deambulazione), i tremori e la rigidità agli arti.
È quindi molto importante identificare il più precocemente possibile la presenza di alfa-sinucleina anomala, in modo da stilare una diagnosi precisa nelle prime fasi della malattia e iniziare, di conseguenza, una terapia adeguata e tempestiva. Come per tutte le patologie, infatti, anche in questo caso prima si interviene maggiore è la probabilità di riuscire a bloccarne l’evoluzione».
La saliva, un biomarker attendibile
Il passo successivo? Mettere a punto dei test che consentano di identificare, nell’organismo dei pazienti con sospetto di Parkinson, l’accumulo di alfa-sinucleina oligomerica. Fino a ieri l’unico modo per dosarne la concentrazione era ricorrere a procedure diagnostiche invasive, come la puntura lombare che consente di rintracciare la proteina-killer nel liquor cefalorachidiano che scorre all’interno del midollo spinale.
Un altro metodo era fare la biopsia gastroenterica, praticata vicino all’appendice, o ancora la biopsia delle ghiandole salivari, l’ultima “stazione” in cui la proteina si raccoglie prima di invadere il cervello.
Nel 2011 un gruppo di ricercatori giapponesi aveva individuato la sua presenza anche nel sangue, ma attraverso procedure più complesse dei comuni esami emato-chimici, destinate a rimanere nell’ambito della sperimentazione.
L’anello mancante è arrivato dal team di ricercatori dell’Università La Sapienza, capitanato dal professor Berardelli, che ha scoperto come la saliva sia un biomarker attendibilissimo per diagnosticare il Parkinson. «Si tratta di un liquido biologico che si preleva in modo rapido, semplice e del tutto indolore», fa notare il professor Berardelli. «Basta prelevare due millilitri di saliva con appositi tamponi buccali che vengono poi messi in speciali provette.
Così, in pochi minuti e in modo per nulla invasivo, è possibile avere la conferma di questi aggregati proteici, tossici per i neuroni e per le sinapsi neuronali. L’esame salivare è stato da noi utilizzato con successo in 70 pazienti con sintomi riconducibili alla malattia di Parkinson, e lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica Annals of Neurology. Avere a disposizione un biomarker affidabile, e la possibilità di raccogliere e analizzare i campioni con le normali tecniche di laboratorio, ha un valore sia diagnostico sia prognostico.
Diagnostico perché finalmente il test salivare, una volta che la sua applicazione verrà estesa su vasta scala, ci consentirà di maneggiare uno strumento di diagnosi rapido e preciso. Prognostico perché dai marcatori salivari è possibile predire l’evoluzione della malattia, la sua progressione nel breve, medio e lungo termine. Oltre all’alfa-nucleina oligomerica, infatti, abbiamo identificato altri marker “satellite”, come la tau fosforilata, la TNFalfa e la MAP-LC3 che , se presenti in certe quantità nella saliva, possono imprimere un’accelerazione ai danni indotti dalla responsabile numero uno».
I risvolti pratici
Ma quali sono, allo stato attuale, le implicazioni pratiche di tale scoperta? Essendo anche molto economico, nel giro di breve tempo il test della saliva diventerà il principale strumento di screening per il Parkinson. Inoltre è una buona base di partenza per dare una svolta alla ricerca. «Come per il Morbo d’Alzheimer sono stati messi a punto degli anticorpi monoclonali a bersaglio molecolare, diretti cioè contro quella proteina chiamata amilasi, così anche per il Parkinson la ricerca sarà orientata a trovare dei farmaci biologici (anticorpi monoclonali anche in questo caso) in grado di distruggere l’alfa-sinucleina oligomerica, evitando così che “intossichi” il cervello fino a minarne la funzionalità», afferma il professor Berardelli. «Attualmente la terapia consiste nella somministrazione di levodopa. Ma sono certo che a breve altri farmaci scenderanno in campo per ridare dignità di movimento (e di vita) a chi ha perso la sua autonomia».
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