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I nitriti possono aumentare il rischio di diabete

A lanciare l’allarme è uno studio francese che ha analizzato il legame tra queste sostanze utilizzate come conservanti e la malattia

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I nitriti tornano sotto la lente degli esperti e questa volta per il rischio che possano concorrere a causare il diabete di tipo 2, quello non congenito, ma che si sviluppa nel corso della vita. In particolare un team di ricercatori francesi ha analizzato il legame tra queste sostanze, che si utilizzano soprattutto per la conservazione degli alimenti (nella maggior parte dei casi, di salumi e insaccati) e l’insorgenza della malattia. Il risultato, pur non arrivando a provare una correlazione di causa-effetto, «suggerisce un’associazione tra nitrito da additivi e un potenziale aumento del rischio di diabete di tipo 2», come spiegato da Bernard Srour e Mathilde Touvier, ricercatori dell’Inserm, l’Istituto nazionale francese per la ricerca sulla salute e la medicina.


Lo studio francese su nitriti e nitrati

Lo studio, pubblicato sulla rivista PLOS, è stato condotto su un campione di oltre 104.000 cittadini francesi, da un pool di ricercatori dell’Inserm, insieme a esperti dell’INRAE (l’Istituto francese di ricerche per l’agricoltura, il cibo e l’ambiente), l’Università della Sorbonna di Parigi, la Paris Cité University e Cnam (Il Conservatorio nazionale di arti e mestieri) all’interno del Nutritional Epidemiology Research Team, il prestigioso Eren-Cress. Al centro dell’attenzione è stato messo il ruolo nitriti alimentari, che sono composti che si trovano naturalmente in alcuni cibi, in particolare nei vegetali come spinaci, bietole e rape. Nello specifico si tratta di sali di azoto presenti in natura, che però sono utilizzati anche dall’industria alimentare in forma sintetica, dunque realizzati in laboratorio, soprattutto nelle carni, perché sono conservanti che ostacolano la formazione di microrganismi nocivi.

«I nitriti, in grandi quantità, sono più nocivi dei nitrati, tanto che sono stati pressoché eliminati come additivi alimentati; ci sono quasi solamente nitrati, che hanno un rischio più basso e comunque sono ammessi entro soglie massime previste dalla legge», precisa Luca Piretta, gastroenterologo e nutrizionista dell’Università Campus Biomedico di Roma. Lo studio francese ha individuato un nesso statistico tra la presenza e consumo di nitriti e la probabilità di insorgenza del diabete di tipo 2, senza però provare che ne siano una causa o concausa.


Nitriti e nitrati fanno male?

Il sospetto, dunque, è che nitriti e nitrati possano essere in qualche modo correlate con l’insorgenza del diabete di tipo 2. «È da molti anni che c’è attenzione sulla possibilità che i nitrati possano essere fattori di rischio per alcune patologie, specie per il tumore. In questo caso, però, vanno fatte alcune precisazioni sullo studio francese: in primo luogo va chiarito che la quantità di nitrati presi in esame proveniva per il 95% dall’assunzione di vegetali, quindi verdure che li contengono naturalmente e non dal loro uso nell’industria alimentare come conservanti per insaccati o carni. Questo si spiega col fatto che da un lato si trovano nei terreni, in quantità variabile a seconda del tipo di terreno stesso, dall’altra perché sono presenti anche nei fertilizzanti, compresi quelli naturali come lo sterco. In secondo luogo – prosegue Piretta – nello studio i soggetti nei quali si è evidenziato un maggior rischio di diabete erano anche quelli con la maggior probabilità di insorgenza della patologia per familiarità o per fattori come l’obesità. Questo è un grosso limite della ricerca, tanto che gli stessi curatori hanno chiarito di voler approfondire ulteriormente».


In quali cibi si trovano nitriti e nitrati

Nitriti e nitrati permettono di conservare gli alimenti, in particolare la carne e gli insaccati, grazie alla loro azione antimicrobica e antisettica. In particolare evitano lo sviluppo del Clostridium botulinum, il batterio che causa il botulino. Permettono anche di mantenerne il colore vivido e in alcuni casi di migliorarne il gusto. Come anticipato, però, sono presenti anche in alcuni vegetali, soprattutto quelle a foglia, come lattuga, spinaci, bietola, rape, ravanelli e sedano; si possono trovare anche nel pesce marinato e nei formaggi (per impedire che si gonfino nella fermentazione) e come fertilizzanti nei terreni utilizzati per gli allevamenti.

«Il fatto che siano presenti anche in natura rende difficile pensare a una eliminazione come totale, anche come fertilizzanti: bisognerebbe investire molto tempo e risorse per capire se eventualmente questo potrebbe giovare. In ogni caso, non vanno dimenticati due aspetti: tutti gli studi epidemiologici indicano che tutte le diete plant based, che prevedono un consumo di verdure come la Mediterranea o le vegetariane, hanno mostrato i benefici nella riduzione del rischio di diabete. D’altro canto il problema degli additivi è marginale, perché esiste una normativa che regola le quantità massime ammesse come conservanti», spiega il gastroenterologo e nutrizionista.


Che cosa dice la legge

Generalmente nitriti e nitrati sono assorbiti rapidamente anche dall’organismo umano, che però li espelle in larga parte. Il problema sorge quando si concentrano in grande quantità, perché una parte viene rimessa in circolo dalle ghiandole salivari. Il loro effetto può diventare tossico nel momento in cui riduce la capacità dei globuli rossi di legare e trasportare l’ossigeno nel corpo.

Un altro possibile effetto negativo indagato è la formazione a livello gastrico di cosiddette nitrosammine, che sono ritenute potenti sostanze cancerogene. Per questo nel giugno 2017 l’European Food Safety Authority (EFSA), l’Autority per la sicurezza alimentare, ha pubblicato due pareri scientifici sulla valutazione del rischio dei nitriti e nitrati aggiunti agli alimenti, indicando alcune soglie massime consentite. La soglia massima aggiunta nei salumi durante la lavorazione non deve superare i 150 mg per kg di prodotto (300 per i nitrati), mentre la dose giornaliera massima di nitriti considerata sicura dalla Commissione UE è 0,06 mg per kg di peso corporeo: per fare un esempio concreto significa meno di 2 mg per un bambino di 30 kg e poco più di 4 mg per un adulto di 70 kg. L’impiego, comunque, è ancora molto discusso, tanto che a luglio del 2021 uno studio dell’Anses, l’agenza francese per la sicurezza alimentare umana e animale, aveva mostrato un’associazione tra il rischio di cancro del colon-retto e l’esposizione a nitriti e nitrati. Di conseguenza, in Francia era stata votata una proposta di legge per vietarne l’uso nell’industria alimentare. Adesso il nuovo studio ha sollevato nuovi dubbi.


A cosa prestare attenzione

Molti produttori tendono a ridurne la quantità di nitrati ricorrendo anche alla vitamina C. La loro presenza è comunque sempre dichiarata in etichetta degli alimenti: il nitrato è indicato con la sigla E252, mentre la vitamina C con la E300 o acido ascorbico, oppure si può trovare la dicitura E301 (ascorbato di sodio) o E303 (ascorbato di potassio).

Se l’allarme viene soprattutto dalla presenza e quantità di nitrati nelle carni e insaccati, per quanto riguarda frutta e verdura nel 2008 il CONTAM, il gruppo europeo di esperti scientifici sui contaminanti nella catena alimentare, ha valutato i rischi e i benefici, concludendo che questi ultimi superano i rischi potenziali, se entro i limiti giornalieri indicati dalle autorità.


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