L’effetto collaterale più temuto della chemioterapia? La neutropenia febbrile, una complicanza che interessa circa il 25% dei pazienti oncologici trattati con farmaci chemioterapici. «I sintomi caratteristici di questa complicanza sono due: la diminuzione del numero di globuli bianchi neutrofili del sangue, che scendono sotto i 500/mm3 (valori normali tra i 1500 e gli 8000/mm3), e l’innalzamento della temperatura corporea a 38 gradi e oltre, che si mantiene tale per tre misurazioni successive a un’ora di distanza l’una dall’altra», spiega la dottoressa Rosa Giuliani, oncologa presso l’Ospedale San Camillo Forlanini di Roma. «L’associazione tra perdita di neutrofili e febbre delinea un quadro particolarmente critico perché, crollando le difese immunitarie, il paziente diventa vulnerabile a qualsiasi tipo di infezione. Tant’è che nel 9,5% dei casi la neutropenia febbrile porta al decesso dovuto a setticemia, broncopolmoniti, uretriti o altre infezioni aspecifiche, senza un focolaio ben identificato».
MOLECOLE AD HOC PER PREVENIRLA
Fortunatamente, oggi è possibile evitare la neutropenia febbrile grazie all’avvento di molecole farmacologiche che vengono impiegate secondo le ultime linee-guida emanate, nel luglio del 2015, dalla Società Americana di Oncologia (Asco). Questa classe di farmaci, i cosiddetti “fattori di crescita dei granulociti” (G-CFS), viene prescritta sia per la prevenzione primaria, sia per quella secondaria (cioè nel caso in cui la neutropenia febbrile si sia già verificata durante il primo ciclo di chemioterapia). «Candidati alla prevenzione primaria sono tutti pazienti che assumono chemioterapici particolarmente pesanti», prosegue la dottoressa Giuliani. «Al top della lista, troviamo soprattutto quelli impiegati per combattere i tumori solidi (come quello alla mammella, alla prostata e al polmone) o i cosiddetti “tumori del sangue” (leucemie, linfomi o mieloma multiplo). Ma anche antitumorali impiegati per altri tipi di cancro non sono scevri dal rischio di abbassare drasticamente le difese. Il secondo criterio di somministrazione, indipendentemente dai chemioterapici adottati, è l’attenta valutazione delle condizione cliniche del paziente: se è anziano, debilitato, immunodepresso e presenta delle co-morbilità (per esempio, ha il diabete associato a problemi cardiovascolari), ecco che scatta l’esigenza di prevenire la neutropenia febbrile somministrando i G-CFS fin dal primo ciclo di chemioterapia». Secondo le linee-guida dall’Asco, in linea generale, chi ha un rischio di sviluppare questa complicanza uguale o superiore al 20% viene trattato preventivamente con questi nuovi farmaci. Ma anche chi ha un profilo di rischio compreso tra il 10 e il 20% può beneficiare della profilassi, qualora l’équipe di oncologi lo ritenga opportuno. Per contro, nel caso in cui si sia già verificato un episodio di neutropenia febbrile, i G-CFS vengono dati di routine, a ogni ciclo di “chemio”.
10 GIORNI DI PROFILASSI
«Questi farmaci, ben tollerati, vengono somministrati entro 72 ore dalla prima infusione chemioterapica e proseguiti per circa 10 giorni. Efficaci, riescono a riportare velocemente i globuli bianchi neutrofili a valori di normalità, scongiurando il timore che subentrino delle infezioni e, soprattutto, consentendo di portare a termine lo schema di cura secondo dosi, tempi e modalità previste dal protocollo terapeutico», conclude la dottoressa Giuliani. Così il paziente riesce a beneficiare della “chemio” come programmato, senza “intoppi” che mettono a repentaglio la sua stessa vita.