di Valeria Ghitti
«Il modo migliore per affrontare il carcinoma duttale in situ della mammella è non fare nulla». A sostenerlo è il ricercatore canadese Steven Narod, che lancia così un nuovo dibattito tra gli esperti. Per Umberto Veronesi non è realistico pensare di lasciare in ansia delle pazienti per “qualcosa nel proprio seno” che, seppure con minime possibilità, potrebbe trasformarsi, ma propone anche di passare al «meno terrorizzante» termine di neoplasia intraduttale intraepiteliale (DIN).
«Queste lesioni, che si formano nei dotti galattofori (i canalini in cui scorre il latte materno), non hanno la capacità di provocare metastasi a distanza, una caratteristica da spiegare con chiarezza. Invece si usa ancora il termine carcinoma, che evoca la capacità del male di “conquistare” tutto il corpo: per fortuna in questi casi non succede», dice Alberto Luini, codirettore del Programma Senologia dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano.
L’assenza di metastasi significa che si può non intervenire?
«No, si deve asportare la lesione», sottolinea Alberta Ferrari, chirurga senologa del Policlinico S. Matteo di Pavia. «Se è vero che sono confinate nei dotti, sappiamo anche che il 10-15% di queste forme al momento di operarle si rivela pericolosa, perché la diagnosi a monte era sbagliata o troppo “ottimista”. Inoltre, oggi non siamo capaci di riconoscere sempre quelle che non si trasformeranno mai in invasive».
«L’intervento è conservativo: nella maggior parte dei casi togliamo solo una piccola porzione di ghiandola mammaria», assicura Adriana Bonifacino, responsabile dell’Unità di senologia del S. Andrea di Roma. «Prima si fa una biopsia: se l’analisi del tessuto (l’esame istologico) conferma la diagnosi, si opera con una tecnica di medicina nucleare (si chiama ROLL). Si inietta nella lesione una sostanza radioattiva che, captata da una sonda, permette al chirurgo di trovare con estrema precisione la parte da togliere. Solo dopo l’esame istologico definitivo si valuta se effettuare anche una radioterapia, per ridurre il rischio di recidiva».
Due forme più “invadenti”
1 Il carcinoma duttale invasivo o infiltrante rappresenta l’80% circa dei tumori alla mammella: le cellule cancerogene si formano cioè nella parete dei dotti galattofori, per poi diffondersi nelle vicinanze.
2 È un carcinoma lobulare invasivo il 12% dei tumori: si sviluppa nei lobuli (le piccole strutture della ghiandola mammaria deputate alla produzione del latte) da dove poi può diffondersi nell’organismo. «La forma lobulare è in genere meno aggressiva, ma può purtroppo interessare entrambi i seni», spiega il professor Alberto Luini. «Entrambi questi tumori “cattivi”, duttale invasivo e lobulare, se scoperti in fase molto precoce hanno comunque una percentuale di guarigione molto alta, superiore al 95%», assicura il nostro senologo.
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