Il 3 dicembre è la Giornata internazionale delle persone con disabilità. Quest’anno l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha scelto un tema molto forte come filo conduttore dell’appuntamento: la “capacità di resilienza delle comunità”, ovvero le risorse e le forze che Paesi e società hanno per rispondere ai loro bisogni. Ed è quello che ci chiediamo anche noi: come stanno oggi i disabili in Italia? I loro diritti vengono rispettati? Ci sono stati passi avanti sul fronte dell’integrazione? Cerchiamo di scoprirlo.
Salute: l’assistenza c’è ma...
In Italia, lo certifica l’Istat, vivono 3,2 milioni di individui “speciali”: il 40% soffre di problematiche sensoriali o motorie, il 60% intellettive. Quasi 2 milioni hanno disabilità gravi. Più di mezzo milione non ha ancora compiuto i 65 anni. «Si tratta di un universo variegato, difficile da inquadrare», precisa Roberto Speziale, presidente di Anffas, l’associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale.
«Sul fronte della cura possiamo essere soddisfatti: abbiamo un buon Sistema sanitario che, a differenza di altri, garantisce assistenza a tutti e vantiamo medici e specialisti di ottimo livello. Infatti l’aspettativa di vita è la più alta dell’Unione Europea. Proprio per questo, però, sta emergendo un problema: gli anziani sono in aumento, ci sarà presto un popolo di over 70 in buona salute che non sempre potrà contare sull’appoggio della famiglie. Che fine faranno? Invecchieranno dimenticati in case di riposo non adatte?». La risposta non c’è ancora.
Scuola: pochi insegnanti e poche strutture
Proviamo a fare l’appello: gli studenti “speciali” sono 240.000, gli insegnanti di sostegno 135.000. «Numeri a parte, la questione è che il 30% dei maestri non possiede una formazione specifica, ma sono docenti che si riciclano in questo ruolo», spiega il presidente di Anffas. «Il vero scoglio, poi, è la mancanza di strutture: per esempio i disabili più gravi non possono svolgere attività come informatica o i laboratori di lingue perché non hanno postazioni, computer o attrezzature adatti. Così sono fisicamente a scuola, ma trascorrono molto tempo in corridoio a leggere un libro. Insomma, l’inclusione resta ancora lontana».
Lavoro: le norme non sono rispettate
Per gli esperti qui c’è un grande vuoto e i dati Istat lo confermano: tra i disabili gravi ha un’occupazione solo il 19,7%. Le norme esistono, peccato non siano rispettate. «Tante aziende preferiscono pagare una multa piuttosto che assumerci, come vorrebbe la legge (la 68/99 obbliga ad assumere le categorie protette, ndr)», nota Serena Amato, disabile e vice portavoce della Piattaforma italiana autorappresentanti in movimento.
«Un esempio: la mia esperienza. Ho iniziato a lavorare ora, a 28 anni, prima nessuno mi chiamava per un colloquio, nemmeno mettevano alla prova le mie capacità. Il disabile non è considerato davvero produttivo e non è prevista una formazione specifica, quindi rischia di essere confinato in impieghi saltuari e con poca continuità. Ma senza un contratto non si ottiene l’indipendenza economica. Io sogno una casa mia, non se e quando l’avrò». All’estero non mancano le buone prassi da imitare. «In Austria e nei Paesi scandinavi sono diffuse associazioni e cooperative che operano nel settore», aggiunge Speziale di Anffas. «Monitorano le carenze di aziende e piccole imprese e poi formano disabili che colmano quei vuoti».
Barriere: servono più aiuti
Si chiama “No barriere” la app gratuita ideata dall’Associazione Luca Coscioni per denunciare marciapiedi, portoni, scale che rendono i luoghi inaccessibili. In 12 mesi sono state fatte 200 segnalazioni e decine di strutture sono state rimosse o adattate. «Negli ultimi anni su questo fronte abbiamo compiuto enormi passi avanti, ma non bisogna fermarsi», avverte Serena Amato. «Io vivo a Ragusa, una città piena di gradini e fatico a spostarmi da sola. Serve più attenzione». E forse qualche aiuto: in Parlamento, per esempio, è ferma da anni una legge che riunisce tutte le normative del settore per snellirle.
È una questione di sensibilità anche il tempo libero. «Se una come me pratica diversi sport ed è iscritta anche a un corso di ceramica, è solo grazie all’aiuto di un’associazione. E chi non ha la fortuna di averne una vicina? Tanti giovani trascorrono le loro giornate in casa».
Affetti: timidi passi avanti
Ecco il tabù dei tabù: l’amore. «I disabili sono considerati persone asessuate, che non possono innamorarsi o avere rapporti. Ma senza questo aspetto non è vita», conclude il presidente di Anffas. «C’è stato qualche timido passo avanti, ma si tratta di idee sporadiche, che vanno incentivate. Per esempio, potrebbe funzionare il love giver, un operatore specializzato e formato che educa i ragazzi all’affettività e alla sessualità. Bisogna regolarizzare questa figura, o soluzioni simili, e incentivarle in tempi brevi, come avviene all’estero».
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Articolo pubblicato sul n. 50 di Starbene in edicola dal 28/11/2017