Il “mese della consapevolezza sull’endometriosi” si è concluso con una marcia (il 30 marzo in 55 capitali nel mondo) che ha messo in evidenza non solo la dimensione del problema (in Italia ne soffre 1 donna su 10, e si stimano circa 14 milioni di casi in Europa), ma anche la sconfortante scarsità di informazione sul tema, persino fra i medici.
Non è raro, infatti, che la malattia, prima di essere diagnosticata, venga scambiata per altro, persino per un’appendicite. È il caso di Chiara Ceccarelli, 21 anni, di Roma, una storia di endometriosi, la cui diagnosi è arrivata con 5 anni di ritardo e dopo 3 interventi non risolutivi. Un calvario iniziato a 14 anni.
Il ciclo? “Deve” essere doloroso
«"È normale avere dolore durante le mestruazioni e, in giovane età, il flusso può essere abbondante. Se poi si sta proprio tanto male, i motivi sono psicosomatici": è questo che mi sono sentita dire ogni volta che andavo dal medico», racconta Chiara. «In sostanza, per il dottore, non avevo nulla».
Invece, in questi casi, dovrebbe scattare un campanello d’allarme, perché la diagnosi potrebbe essere quella di endometriosi. Chiara, già dalle prime mestruazioni, aveva dovuto assumere antidolorifici per la dismenorrea, finché un giorno di 8 anni fa, in preda a fortissime fitte addominali è finita al Pronto soccorso.
«Ero piegata in due dal dolore, e la diagnosi è stata di appendicite. La mattina dopo mi hanno sottoposto all’intervento, dicendomi che si erano accorti anche della presenza di una cisti sull’ovaio destro, che avevano tolto».
Dopo l’operazione tutto peggiora
Tornata a casa, Chiara ha un netto peggioramento dei suoi disturbi. «I dolori non erano più legati al periodo delle mestruazioni: soffrivo per quasi tutti i giorni del mese, ero costretta ad assentarmi spesso da scuola e, per le fitte, avevo persino iniziato a trascinare una gamba».
Il medico di famiglia le consiglia di rivolgersi a un ginecologo ma non riesce neanche a contattarlo, perché arriva un secondo attacco da Pronto soccorso ad appena 6 mesi dal primo. «Stessi sintomi del primo ricovero: ma come era possibile, se l’appendice non ce l’avevo più?».
Il ricordo di questo episodio è particolarmente doloroso per Chiara. È mattina, e le fitte sono fortissime, accompagnate da vomito e svenimenti, ma nessuno le dà spiegazioni. Finalmente, il pomeriggio del giorno dopo, un ginecologo le annuncia una laparoscopia esplorativa e Chiara viene operata per la seconda volta. «Durante l’intervento scoprono un’altra cisti e infezioni diffuse».
Poi l’incontro con l’associazione
Dimessa dall’ospedale le viene prescritta una cura ormonale che però non risolve nulla: i dolori compromettono sempre di più la sua qualità di vita. In più ha 5 cicatrici sull’addome, un disagio non da poco per un’adolescente. L’ennesimo ginecologo le suggerisce di rivolgersi a uno psichiatra.
«Ci vado poco convinta, soffro troppo perché sia un problema psicologico, e infatti il medico mi rassicura: non sono affatto ipocondriaca. Così ho iniziato a maturare dentro di me un senso di rabbia verso chi, invece di trovare soluzioni, mi incolpava di essere persino viziata e di cercare scuse per non andare a scuola».
Nel frattempo il dolore costringe Chiara al terzo intervento. «Ma faccio continue ricerche e trovo finalmente un’associazione di donne che hanno i miei stessi problemi. Sembra che la causa sia una malattia di cui nessuno mi aveva mai parlato, l’endometriosi. Finalmente non mi sono sentita più sola, non dovevo spiegare più niente a nessuno, alle mie nuove amiche bastava guardarmi negli occhi per condividere la sofferenza.
Mi sono sentita abbracciata e portata per mano, e ho capito che anch’io un giorno avrei voluto aiutare le persone costrette, come me, a vivere un’esperienza così atroce prima di arrivare a una diagnosi».
Il ginecologo dell’associazione, esperto di endometriosi, finalmente spiega a Chiara il suo problema. «Il medico, dopo gli esami, mi ha mostrato, su un modello anatomico, dove si trovassero i focolai di endometriosi nel mio corpo, spiegandomi che in futuro avrei dovuto sottopormi a un quarto intervento perché i precedenti non avevano mai “ripulito” l’area giusta ma che intanto potevo, con la menopausa farmacologica, ritardarlo, tenendo sotto controllo i sintomi».
L’aver aspettato 7 lunghi anni prima di ritrovare la serenità ha provato ma anche fortificato Chiara, che oggi è referente su Roma di Apeonlus, associazione che si occupa di sostegno e informazione sull’endometriosi. «Aiuto le ragazze a non perdersi d’animo: alla fine di questo percorso buio torna a splendere il sole!».
Una patologia complessa
L’endometriosi colpisce le donne in età fertile, ed è causata dalla crescita di cellule endometriali in zone al di fuori dell’utero. Provoca un’infiammazione cronica che si manifesta con forti dolori anche intestinali.
«È una patologia conosciuta dai ginecologi, ma non altrettanto dai medici chirurghi o di medicina generale. La sintomatologia, la visita e l’ecografia possono innescare il sospetto (in particolare se l’endometriosi ha sede nell’ovaio) ma la conferma arriva solo con l’intervento addominale. Se localizzata in altre zone, come il setto retto-vaginale, che produce noduli molto dolorosi, una risonanza magnetica può togliere ogni dubbio», spiega la professoressa Irene Cetin, direttore della Clinica ostetrico-ginecologica dell’ospedale Buzzi di Milano.
Come curarla? «Bloccando l’attività ormonale dell’ovaio con una menopausa farmacologica, che però non può protrarsi per più di 6 mesi, o con estroprogestinici o progestinici. Purtroppo l’unica “cura” definitiva è la menopausa: fin quando l’ovaio produce ormoni il rischio che l’infiammazione si ripresenti permane».
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Articolo pubblicato nel n° 19 di Starbene in edicola dal 23 aprile 2019