Carlo Vanzina, 67 anni, il noto e amato regista di tanti film popolari in Italia, è morto recentemente a causa di un melanoma. Secondo diverse fonti, si curava da almeno un anno per questo cancro della pelle, ma il problema arriverebbe da lontano, è cioè si tratterebbe di una recidiva di un melanoma operato 20 anni prima.
«Questo tumore, una volta considerato malattia della tarda età, oggi è diventato il più diffuso sotto i trent’anni, complici le reiterate scottature da giovani e l’eccessiva esposizione ai raggi, lampade abbronzanti, ancora usatissime, in testa», spiega il professor Paolo Ascierto, direttore della Struttura complessa melanoma, immunoterapia e terapie innovative dell’Istituto nazionale tumori Pascale di Napoli.
«Non solo: noi addetti ai lavori lo chiamiamo il tumore dei “colletti bianchi”, cioè colpisce di più quelle persone che si espongono saltuariamente e in modo concentrato nel tempo agli UV. Per capirci, i pescatori e gli agricoltori, che sono sempre sotto i raggi, godono di una sorta di “difesa” e sono meno a rischio dei colletti bianchi di sviluppare un melanoma, anche se poi sono più a rischio per altre forme di tumore cutaneo».
IL PROBLEMA DELLE RICADUTE
Ma la vicenda di Vanzina pone anche un altro quesito allarmante: si può guarire di melanoma? E quando si può essere davvero sicuri di essere guariti? «Nel momento in cui il medico scopre un melanoma e lo asporta chirurgicamente, seguono una serie di controlli serrati per 5 anni», spiega il professor Ascierto. «Se tutto va bene, le verifiche continuano annualmente per altri 5 anni, dopodiché il rischio di morire di melanoma è raro. Purtroppo, però, nel 3-4% dei casi si verificano delle recidive anche dopo molti anni dall’intervento, e non abbiamo ancora scoperto il perché e quali sono i pazienti a rischio».
COME VA ELIMINATO PER ESSERE SICURI
Per essere certi che un melanoma o un neo atipico, cioè che potrebbe diventarlo nel tempo, è stato asportato bene, occorre che il chirurgo segua delle regole semplici ma precise. «Il nevo, o neo, che per le sue caratteristiche va tolto perché potrebbe evolvere in tumore, non va mai bruciato con il laser, ma tagliato in modo che possa essere eseguito l’esame istologico», raccomanda Giovanni Chiarelli, dermatologo dell’Ospedale San Raffaele di Milano. «Invece, ancora oggi, tanti usano il laser, eliminando nei sospetti in modo che poi non è possibile confermarne la natura benigna e con il rischio che la lesione non venga tolta completamente».
«Esiste una sola procedura per asportare un melanoma: con il bisturi, e poi si fa sempre l’istologico», rincara Ascierto. «Usare il laser senza accertamento istologico per le lesioni melanocitarie (nei) asportate, rappresenta una bad practice, una “brutta pratica”».
IL RUOLO DEI RAGGI UV E DELLE SCOTTATURE
«Il sole fa male alla pelle», spiega il dottor Chiarelli. «Noi dermatologi siamo consci che le persone amano abbronzarsi, ma la medicina ha raggiunto ormai delle certezze in questo campo. Un recente studio ha dimostrato che l’unico sole che non induce cambiamenti nelle cellule cutanee è quello cui ci si espone dopo le 18. La principale difesa rimane la protezione 50, da rinnovare ogni ora, contando i bagni e il sudore. Una “seccatura” salvapelle».
Il sintomo inequivocabile dell’esposizione sbagliata? La scottatura.
L’ALLARME SULLE LAMPADE ABBRONZANTI
«Uno studio dell’Oms ci avverte che l’abuso di lampade abbronzanti prima dei trent’anni aumenta il rischio melanoma del 75%», spiega il professor Ascierto. «Sappiamo poi che le radiazioni UV sono classificate come agente cancerogeno di classe uno, esattamente come le radiazioni delle radiografie. Dunque, l’esposizione peggiore è quella breve ma intensa, perché danneggia il Dna dei melanociti».
LE NUOVE TERAPIE PER CHI SI AMMALA
E per chi si ammala? «Devo dire che i nostri dermatologi sono sempre più bravi e che le diagnosi precoci sono tante, per fortuna», commenta Ascierto. «Le terapie, poi, hanno fatto passi da gigante proprio negli ultimi anni. Abbiamo l’immunoterapia, che stimola il sistema immunitario ad aggredire il tumore. E poi la cosiddetta “target therapy”, cioè le cure personalizzate che vertono su combinazioni di farmaci (una molto recente) che agiscono sulle proteine mutate del melanoma. Il risultato è una maggiore sopravvivenza ma anche, nel caso dell’ultima combinazione studiata, l’eliminazione di complicanze importanti, come la febbre e la fotosensibilità. Certo, c’è ancora molto da fare, perché comunque questo tumore è molto aggressivo e la mortalità rimane alta, ma stiamo studiando altre nuove combinazioni di farmaci e nuove molecole arriveranno. Abbiamo avuto grandi successi negli ultimi anni e sono davvero ottimista».
La diagnosi precoce rimane però la “cura” più efficace, anche perché tolto un neo a rischio, tolto il problema, nella maggioranza dei casi. Ecco perché è fondamentale distinguere subito il neo normale dall’atipico. Leggendo qui di seguito potete farlo da soli. Ma poi... dal dermatologo!
L’ALFABETO DELLA PREVENZIONE
«I dermatologi fanno la diagnosi dei nevi atipici, cioè quelli che potrebbero diventare melanoma, con il dermatoscopio a epiluminescenza, che ingrandisce le lesioni e permette di vederle anche in profondità», spiega il dermatologo Giovanni Chiarelli. «Inoltre, si fa la mappatura dei nei: un computer memorizza quelli verificati e, nella visita successiva li paragona per vedere se ci sono stati cambiamenti».
Le caratteristiche sospette si sintetizzano in 5 lettere.
- A come Asimmetria
I melanomi non sono regolari: di solito una parte è più grande dell’altra.
- B come bordi
Il tumore ha bordi che vengono definiti a “carta geografica”, cioè irregolari, non tondi, per fare un esempio frequente.
- C come colore
Occhio a quei nei che hanno al loro interno colori diversi, come il nero e il marrone.
- D come dimensione
«In genere si dice che i nei più a rischio sono quelli superiori ai 6 millimetri», precisa Chiarelli. «In realtà oggi scopriamo sempre più di frequente lesioni piccolissime, sotto questa grandezza. Attenzione».
- E come evoluzione
Se un neo cambia nel tempo, va fatto vedere. Ciò può succedere sia per il colore che per la dimensione. «In genere è più facile che un melanoma nasca ex novo, cioè come tale, e non che un nevo preesistente si trasformi in un tumore», conclude il dottor Chiarelli.
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Articolo pubblicato sul n. 32 di Starbene in edicola dal 24/7/2018