Nei prossimi anni i medici di base saranno pochi, sempre più oberati di lavoro, costretti a occuparsi di aspetti che non dovrebbero essere di loro competenza, a scapito della qualità dell’assistenza ai pazienti. Il loro ruolo sta attraversando un momento di crisi profonda, sfociata in un malessere generalizzato della categoria che si sta esplicitando in diverse forme.
Per esempio, la recente campagna lanciata sui principali social (#laprovadel9, dove 9 sta per la durata media, in minuti, di una visita) dal network di assistenza legale dei medici di famiglia Consulcesi, per sensibilizzare sull’importanza di tutelare i diritti di questa categoria. Proviamo allora a capire quali sono le radici del problema e come si potrebbe intervenire per risolverlo, a tutto vantaggio della salute della popolazione.
Vogliono lo stesso trattamento degli specialisti
Secondo i dati Eurostat, i medici di medicina generale in Italia sono circa 54 mila, quasi 88 ogni 100mila abitanti. Un dato, in realtà, non inquietante se si pensa che in Germania e Francia sono intorno alla metà, e che in Gran Bretagna e Spagna sono più o meno gli stessi.
«Il punto critico è che nel giro di 10 anni il 70% di loro andrà in pensione. E, in assenza di un ricambio generazionale adeguato, il numero totale rischia di assottigliarsi troppo. Da diverso tempo, ormai, in questo ramo della medicina c’è una netta crisi di vocazioni, dovuta soprattutto a una disparità di trattamento economico, previdenziale e assicurativo tra i medici cosiddetti generici in formazione e gli specializzandi in tutte le altre discipline», precisa Massimo Tortorella, presidente di Consulcesi. «Durante il corso triennale che devono seguire per ottenere il relativo attestato, i primi guadagnano infatti 11mila euro l’anno lordi, senza le normali tutele dei contratti di lavoro (come la gravidanza retribuita); i secondi, invece, dispongono di borse di studio non tassate da 25-27 mila euro l’anno, più i contributi e un’assicurazione. In queste condizioni diventa molto difficile, per un neolaureato, scegliere la medicina generale invece di una qualsiasi altra specializzazione». Questa disparità di trattamento nasce dal mancato rispetto della normativa dell’Unione europea, che imporrebbe condizioni identiche per tutti. La conseguenza sono centinaia di cause di risarcimento che lo Stato italiano regolarmente perde. Ma il rischio di un deficit di medici di base per il futuro resta.
Chiedono segretarie e infermieri
«Il problema principale dei dottori di famiglia è la mole di lavoro, che negli ultimi 10 anni è più che raddoppiata», osserva Ovidio Brignoli, vicepresidente della Società italiana di medicina generale (Simg). Del resto in un Paese che invecchia, aumentano inevitabilmente le patologie.
«Prendiamo un collega che ha 1500 assistiti, soglia massima prevista per legge: di questi, in media circa 600 sono malati cronici, che richiedono quindi 7-8mila visite l’anno. Se si aggiungono gli eventi acuti (come il mal di schiena), che mettono insieme altre 3-4mila visite nei dodici mesi, in un anno il medico può toccare le 10-12mila visite, circa 1000 al mese, 250 alla settimana», continua Brignoli. A questi ritmi, il tempo da dedicare al paziente si riduce molto.
«L’ostacolo vero è la burocrazia. Siamo spesso costretti a situazioni paradossali: per esempio dobbiamo stampare i report digitali dei vaccini somministrati agli anziani e ai malati cronici, per portarli materialmente al distretto sanitario, dove verranno digitalizzati di nuovo», spiega Silvestro Scotti, Segretario generale nazionale della Federazione italiana medici di medicina generale (Fimmg).
«A portarci via tempo ci sono anche atti non strettamente medici, per esempio le medicazioni più semplici o le misurazioni della pressione», aggiunge Brignoli. «Ecco perché se ciascun medico di base venisse affiancato per legge da una segretaria e da un infermiere, aumenterebbe notevolmente la capacità di prendere in carico i pazienti. Il tutto con una spesa molto inferiore rispetto a quella che comporterebbe l’assunzione di altri medici. E il servizio sarebbe più efficiente», continua Brignoli. «Garantirebbe anche più medicina di iniziativa, quella per cui è il medico di base a telefonare al paziente per informarsi sul suo stato di salute, o invitarlo a una visita di controllo», aggiunge Scotti.
Sono favorevoli a introdurre controlli
«Purtroppo ci sono ancora tanti colleghi che non lavorano quanto dovrebbero, o magari si limitano a indirizzare subito il paziente da uno specialista, in modo da avere più tempo da dedicare all’attività privata. Fare a meno di questi medici non sarebbe un danno, ma un vantaggio», osserva Ovidio Brignoli. «Anche questo problema, comunque, si potrebbe risolvere con un più accurato monitoraggio del lavoro dei medici di base», conclude il vicepresidente della Simg.
Le novità della Legge di bilancio
La manovra economica approvata alla fine dell’anno contiene provvedimenti che riguardano anche i nuovi medici, quelli che si accingono a seguire i corsi di formazione in medicina generale al fine di diventare dottori di famiglia.
Nella Legge di bilancio per il 2019, vengono stanziati infatti 10 milioni di euro in più per le borse di studio. Per i giovani medici che vogliono iscriversi alle specializzazioni, invece, i soldi a disposizione sono 22,5 milioni di euro a partire dal 2019, che diventeranno 45 nel 2020, per salire a 68 nel 2021, 91,8 nel 2022 e infine 100 dal 2023. «Purtroppo finché i corsi di formazione per la medicina generale non verranno considerati in tutto e per tutto come quelli di specializzazione, anche nella denominazione, e finché nelle università non esisteranno dipartimenti ad hoc, non solo singoli insegnamenti, la medicina generale continuerà ad apparire come una sorella minore rispetto alle altre branche della scienza medica. Ed è un vero peccato», commenta il dottor Ovidio Brignoli, vicepresidente della Società italiana di medicina generale.
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Articolo pubblicato sul n. 5 di Starbene in edicola dal 14 gennaio 2019