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Medici di famiglia: come cambierà il loro ruolo

L’attuale organizzazione è diversa a seconda delle Regioni ed è sicuramente necessaria una riorganizzazione della medicina del territorio. Ma nel futuro Il medico di famiglia farà parte di un microteam, in cui sono presenti anche un infermiere e un assistente

Credits: istock



È arrivata alla terza edizione la “Giornata nazionale del personale sanitario, sociosanitario, socio-assistenziale e del volontariato”, nata all’inizio della pandemia, quando la figura dei camici bianchi è stata fondamentale per affrontare l’emergenza Covid. Quest’anno il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha reso omaggio proprio ai “camici bianchi”. Ma ora che l’emergenza è finita, come potrebbe cambiare il loro ruolo? Quali sono i nuovi compiti e come potrebbe cambiare il rapporto con i cittadini? «In linea generale c’è ancora riconoscenza e ammirazione da parte dei cittadini e delle istituzioni. La pandemia di Covid ha messo in luce e amplificato carenze e criticità del nostro Servizio Sanitario Nazionale. È sicuramente necessaria una riorganizzazione della medicina del territorio. Ma non dobbiamo ‘buttare via il bambino con l’acqua sporca’: la figura del medico di famiglia non va eliminata, né tantomeno sostituita da professionisti con competenze diverse, ma anzi potenziata e valorizzata», spiega Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici (Fnomceo).


Tre anni dall’inizio della pandemia: cosa è cambiato

«Il personale sanitario in generale ha pagato un tributo pesante durante la pandemia con circa 500 decessi tra i professionisti sociosanitari e i contagi”, premette Anelli. Ma com’è oggi la situazione? «Purtroppo, sono in aumento le aggressioni e gli episodi di violenza, che sfogano sul bersaglio più vicino – cioè i professionisti - la frustrazione e la rabbia per ritardi e malfunzionamenti del Servizio sanitario nazionale, sia quelli reali sia quelli solo percepiti come tali. Da parte della Politica, le manifestazioni di solidarietà e gratitudine non sempre si traducono in provvedimenti che sostengano i professionisti. È quello che abbiamo voluto dire con il nostro spot “Invisibili”, un video in cui si vede un medico che, spogliandosi del camice e degli altri indumenti da lavoro, rimane, appunto, trasparente. Una suggestione forte, per significare che il lavoro del personale sanitario non viene “visto” e riconosciuto, a livello politico, nella sua importanza fondamentale a tutela della salute», prosegue il presidente della Federazione degli Ordini dei Medici.


I problemi lasciati dalla pandemia: pochi posti letto e medici

La pandemia ha portato alcune novità, come le ricette elettroniche, ma ha anche acuito alcuni problemi, per esempio le liste d’attesa e la riduzione degli screening preventivi. Come si recupera? «La pandemia di Covid ha messo in luce carenze a livello edilizio e strumentale di posti letto e terapie intensive, ma anche organizzative, con medici di famiglia lasciati soli ad assistere i pazienti domiciliati, o senza protocolli, linee guida, personale di supporto e strumentazione adeguata come saturimetri, bombole d’ossigeno o protezioni individuali», conferma Anelli. Adesso, però, rimane il problema della mancanza di medici. 


Perché mancano i medici

«La stima è che già oggi, tra ospedale e territorio, manchino più di 20mila medici: 4.500 nei pronto soccorso, 10mila nei reparti ospedalieri, 6.000 medici di medicina generale. La situazione potrebbe peggiorare nei prossimi cinque anni, quando andranno in pensione 41.000 tra medici di famiglia e dirigenti medici (proiezioni su dati Agenas), che diventano 50mila se consideriamo tutti i medici del Servizio Sanitario Nazionale – spiega il presidente della Fnomceo. «A questo si aggiunge il fenomeno delle “dimissioni volontarie”, che coinvolge in ugual misura i medici dell’ospedale e del territorio: sempre più medici lasciano il SSN, in fuga verso il privato, la libera professione, l’estero, il prepensionamento. Lo fanno perché questa professione sta perdendo attrattività, anche a causa dei carichi di lavoro, di un aumento del burnout e una retribuzione tra le più basse in Europa».


Medici in burnout

Secondo l’indagine condotta quest’anno dall’Istituto Piepoli per FNOMCeO, lo stato di salute psico-fisica dei medici è peggiorato durante l’emergenza Covid: il 71% ha avvertito una crescita di stress, mentre 1 su 10 ha addirittura riscontrato problemi di salute che prima non aveva. Al normale impegno quotidiano si sono aggiunti consulti e visite da remoto, che hanno invaso la vita privata del 58% dei medici italiani, 3 su 4 dei quali non riescono più ad andare in ferie o anche solo a garantirsi un adeguato tempo per la vita personale. Tanto che un medico italiano su tre, potendo, andrebbe subito in pensione. «A sognare di dismettere il camice bianco è proprio la “fetta” più giovane della Professione: il 25% dei medici tra i 25 e 34 anni e il 31% di quelli tra i 35 e i 44 anni. Se questo desiderio si realizzasse, tra pensionamenti e dimissioni potremmo trovarci, tra cinque anni, con un “buco” di centomila medici», avverte Anelli.


Come cambierà il medico di famiglia

Eppure la figura del medico di famiglia non scomparirà, secondo Anelli: «Lo richiedono i cittadini, che, in tutti i sondaggi, dimostrano con percentuali elevatissime, sempre oltre l’80%, la fiducia e il gradimento nei confronti del proprio medico. E lo conferma la scienza: una ricerca pubblicata sulla rivista Jama Internal Medicine rileva che a 10 medici di medicina generale (MMG) in più per 100mila individui si associa un'aspettativa di vita di 51 giorni maggiore.

Per contro, ogni 10 specialisti in più l'aspettativa di vita sale solo di 19,2 giorni. Questo rivela l’importanza di un rapporto continuativo e di fiducia con il proprio medico, come era già stato evidenziato da un altro studio, pubblicato su British Medical Journal Open, che aveva dimostrato come la continuità di cura nella frequentazione del proprio medico fosse associata a una riduzione della mortalità», ricorda Anelli.

Ma come si traduce questo in concreto? «Dobbiamo d’altra parte dire addio alla ‘vecchia’ e romantica figura del dottore che visita da solo nel suo studio, armato di sfigmomanometro, fonendoscopio e della sua esperienza di clinico: la medicina territoriale del futuro si farà in team multiprofessionali. E, portando i professionisti ‘al letto del paziente’, migliorerà la presa in carico degli assistiti», prosegue il presidente della Fnomceo.


Servono i micro-team: i poliambulatori sul territorio

«L’attuale organizzazione è diversa nelle varie Regioni ma accomunata da una logica ‘a silos’, che rende difficile il lavoro in squadra, mentre occorrono dei microteam composti da un medico di famiglia, un infermiere e un assistente – chiarisce Anelli - Il medico di famiglia continuerà ad avere un rapporto di fiducia col cittadino, con un approccio mirato non alla semplice intercettazione dei problemi, ma al “problem solving”.

L’infermiere e l’assistente sanitario svolgono la funzione di “case manager” mentre al medico di medicina generale è attribuita la funzione di “clinical manager”». A queste figure se ne possono aggiungere altre: «Lo specialista ambulatoriale interno deve integrarsi nel microteam, laddove possibile, in alcuni casi con presenze decentrate ambulatoriali e domiciliari, ma anche utilizzando gli strumenti di telemedicina, collaborando al telemonitoraggio e mettendo in campo una disponibilità non solo prestazionale, ma di presa in carico attraverso il rapporto continuativo “a tre” con il paziente e il suo medico di medicina generale», spiega il presidente della Federazione.  

 

Ritrovare il rapporto di fiducia tra medico e paziente

La parola d’ordine, dunque, è cambiare ma nel solco della continuità: «Oggi è il tempo che il diploma specifico in Medicina generale sia considerato a tutti gli effetti una specializzazione, così come previsto dalle norme comunitarie. È anche il tempo di valorizzare il ruolo di questa colonna del Servizio sanitario nazionale: un professionista al servizio dei cittadini, che è legato ai suoi pazienti da un rapporto che non si esaurisce con la visita in studio, ma che continua con una telefonata, un messaggio anche la domenica o a tarda sera, per avere un consiglio, fugare un dubbio, ricevere una rassicurazione. Un rapporto che genera fiducia, la moneta più preziosa. E la fiducia è alla base della relazione di cura e presupposto della riuscita di ogni strategia terapeutica o di prevenzione», conclude Anelli.


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