di Laura Della Pasqua
La definiscono la malattia dopo la malattia. È l’eredità che si lascia dietro il Covid. Quando l’ennesimo tampone indica che si è usciti dall’incubo dell’infezione, spesso si ha a che fare con i postumi. La letteratura scientifica lo ha ribattezzato “Long Covid” ed è la nuova trincea negli ospedali. È quell’insieme di problemi fisici e psicologici invalidanti che colpisce una persona contagiata su due.
Attualmente esistono pochi dati, divisi per sesso, sull’incidenza e solo sulla popolazione adulta. In generale, le donne sembrano avere il doppio delle probabilità di sviluppare il Long Covid, rispetto agli uomini, ma solo fino a circa 60 anni, quando il livello di rischio diventa simile. Anche l’età avanzata e il sovrappeso sarebbero fattori di rischio.
Ma nemmeno i bambini sono esenti, come dimostrato dallo studio condotto al Policlinico Gemelli di Roma su un gruppo di 129 bambini con diagnosi di Covid. Il 27,1% aveva almeno un sintomo a distanza di oltre 120 giorni dalla prima diagnosi e il 20,6% ne aveva tre o più.
Il Day Hospital del Policlinico è una assoluta eccellenza nella cura dei pazienti usciti dall’infezione. «Siamo stati i primi, a livello mondiale, a studiare e ad avviare le terapie», dice con orgoglio Francesco Landi, presidente della Società italiana di Geriatria, che dirige il Day Hospital post Covid del Gemelli. Per sua iniziativa nasce questa eccellenza a cui si rivolgono gli ospedali di tutto il mondo per avere consigli e confrontare le cure.
Quali sono i disturbi più comuni nei pazienti usciti dal Covid?
«Innanzitutto un affaticamento frequente. Uno su due, a distanza di due, tre mesi, non riesce a recuperare la performance fisica. Poi affanno, cefalea, dolori articolari e muscolari, tosse, mancanza di olfatto, perdita di appetito, disturbi del sonno e talvolta diarrea. In alcuni casi una nebbia celebrale con affaticamento cognitivo e apparente perdita della memoria. I sintomi sono invalidanti a qualsiasi età».
Quanto tempo durano queste problematiche?
«Non abbiamo ancora una risposta. Abbiamo osservato che vanno a diminuire nell’arco di due, tre mesi. Ogni paziente è un caso a sé. Ci sono situazioni che si protraggono a lungo. Molto dipende dalla gravità della malattia acuta. Poi ci sono pazienti che anche dal punto di vista psicologico possono soffrire a lungo. Il Covid fa emergere malattie latenti. La nuova prima linea degli ospedali è la cura del post Covid. E di questo dovrebbe farsi carico il Sistema sanitario nazionale».
Quali cure praticate nel Day Hospital?
«L’affaticamento ha come substrato la malnutrizione e la perdita muscolare. I malati Covid trascorrono tanto tempo fermi, a letto. Inoltre la perdita dell’olfatto e del gusto, unita all’inappetenza alterano il corretto apporto nutrizionale. Noi lavoriamo sul recupero fisico. Abbiamo chiamato il progetto Sprint post Covid, cioè la ripartenza con energia. È una cura che combina l’esercizio fisico per ristabilire la massa muscolare a una dieta personalizzata».
Che tipo di dieta?
«Diamo integratori specifici con aminoacidi e con combinazione di acido citrico che intervengono a livello cellulare. Usiamo anche principi naturali con un potente effetto antinfiammatorio, quali il succo di barbabietola e l’estratto dell’ananas. Sono efficaci soprattutto in pazienti stressati dall’uso massiccio di medicine durante l’infezione. La dieta unita all’esercizio fisico sta dando buoni risultati per migliorare lo stato infiammatorio».
Dal Long Covid si esce o alcuni problemi sono permanenti?
«È presto per dare una risposta. È una malattia che dobbiamo continuare a studiare. Gli pneumologi ipotizzano che i polmoni possano restare colpiti dalla fibrosi polmonare, cioè portare cicatrici molto estese».
Come nasce la struttura del Gemelli?
«Dall’esperienza sul campo. L’Italia è stata la prima, dopo la Cina, ad essere colpita dalla pandemia. Io e alcuni colleghi del Policlinico abbiamo osservato cosa accadeva a chi guariva. Il 21 aprile 2020 abbiamo aperto il Day Hospital. L’analisi su 160 pazienti usciti dal Covid è stata pubblicata a luglio 2021 sulla rivista scientifica Jama e ha fatto il giro del mondo. Il team della struttura è multidisciplinare; pneumologi, reumatologi, infettivologi, neurologi, oculisti, otorini e poi si è aggiunto lo psichiatra. Abbiamo in cura più di duemila persone e oltre all’assistenza continuiamo la ricerca. Tutti i centri dovrebbero attrezzarsi a una valutazione post Covid. I sintomi si hanno anche in chi ha avuto il virus in forma leggera».