La leucemia mieloide acuta (LMA), un tumore del sangue che, se compare dopo i 60 anni, è più aggressivo rispetto a quando colpisce i pazienti più giovani. Inoltre, negli “over 65” rema contro la guarigione la frequente presenza di comorbilità (diabete, ipertensione, disfunzioni cardiache o polmonari, tumori pregressi), che possono porre delle controindicazioni all'utilizzo di alcuni farmaci chemioterapici. Basti pensare che in età avanzata la sopravvivenza alla leucemia mieloide acuta a due anni dalla diagnosi è del 5 per cento, mentre sotto i 60 anni è del 40-45 per cento a 5 anni.
La scomparsa, il 26 giugno scorso, di Taryn Power (sorella di Romina, verosimilmente colpita proprio dalla leucemia mieloide acuta), è l'occasione per fare il punto sulle terapie adottate negli ultimi anni per questa neoplasia. Perché di passi avanti ne sono stati fatti, grazie ai progressi della ricerca nell'ambito dell'immunoterapia e della “terapia mirata” (targhet therapy). Una ricerca che non si ferma mai e che vive del sostegno di governi, istituzioni, aziende e privati. Ecco una panoramica su sintomi, diagnosi e cura della LMA.
I sintomi sospetti della leucemia mieloide acuta
Pallore del volto, debolezza muscolare, stanchezza immotivata, affaticabilità a svolgere le normali azioni quotidiane. Fino al vero e proprio affanno per dover salire due gradini. «Questa profonda astenia è dovuta all'anemia che si installa in seguito al brusco abbassamento dell'emoglobina del sangue che da valori ideali, compresi tra 12 e 16 g/dl, scende fino a 8 o 7 g/dl», spiega Adriano Venditti, professore associato di ematologia all'università Tor Vergata di Roma.
«E l'intensità dei sintomi è direttamente proporzionale alla riduzione dell'emoglobina. L'anemia, infatti, è uno dei primi segnali di un'alterata produzione di sangue da parte del midollo osseo, quel “tessuto liquido” che rappresenta la fabbrica delle cellule sanguigne e che è nascosto dentro alle ossa, in particolare quelle piatte come lo sterno e le vertebre».
Un altro campanello di allarme è la perdita di piastrine, quei fattori che consentono la coagulazione del sangue. Fatto che espone chi è colpito da LMA al rischio di emorragie, anche per un banale taglio.
La terza spia è data dalla brusca diminuzione di globuli bianchi (soprattutto neutrofili) che porta i pazienti a contrarre infezioni batteriche e micotiche. Non di rado, infatti, scoprono di avere questa forma di leucemia quando vengono ricoverati in ospedale per una polmonite.
Come viene diagnosticata la leucemia mieloide acuta
Dal momento che il tumore, causato da una proliferazione incontrollata di cellule staminali ematopoietiche, colpisce la “fabbrica del sangue” la prima cosa da fare in caso di sintomi è rivolgersi al proprio medico di base che prescriverà un emocromo completo, tramite un semplice esame del sangue.
«Se si riscontrano alterazioni quali, appunto, anemia, deficit di piastrine e di globuli bianchi, non è detto che si tratti di LMA», avverte il professor Venditti. «Le patologie che colpiscono il midollo osseo sono molte e per avere una conferma dei sospetti occorre eseguire un agoaspirato, cioè aspirare un piccolo campione di tessuto midollare dall'osso sacro. Il materiale prelevato viene messo su un vetrino, colorato con appositi coloranti e analizzato al microscopio ottico per vedere la presenza di cellule leucemiche».
L'avvento degli anticorpi monoclonali
La grande svolta nella cura della LMA è arrivata negli ultimi anni con l'introduzione di farmaci con innovativi meccanismi d'azione. Fra questi va segnalato un anticorpo monoclonale protagonista di una sorta di “immunoterapia passiva” perché diretto selettivamente contro l'antigene espresso dalle cellule tumorali. Questo anticorpo, chiamato gemtuzumab ozogamicin, può essere somministrato da solo o, più frequentemente, insieme ai chemioterapici per potenziarne l'azione antiblastica.
«Approvato dall 'Ema (European Medicines Agency) nel 2018, agisce contro una proteina delle cellule leucemiche, ribattezzata CD33», spiega ancora il professor Adriano Venditti. «Riconoscendo questo specifico bersaglio, funge da carrier (vettore) per le molecole chemioterapiche che, grazie ad esso, riescono a raggiungere il cuore della cellule maligne per colpirle dall'interno». In pratica, è come se i tradizionali farmaci oncologici fossero trasportati da una navicella che, potenziando la loro capacità di penetrazione, amplifica il successo della terapia.
Risultati molto promettenti
Somministrato per via endovenosa in associazione ai chemioterapici, tale anticorpo monoclonale ha aumentato significativamente la durata del cosiddetta “sopravvivenza libera da malattia». Lo ha dimostrato uno studio condotto da un team francese, noto come “Alfa Group” , e i cui risultati sono stati pubblicati nel 2012 nella rivista scientifica Lancet e nel 2019, in forma aggiornata, nella rivista Haematologica.
Quali sono i vantaggi della nuova associazione, rispetto ai soli chemioterapici, in termini di sopravvivenza? «Benché statisticamente rilevante, la sopravvivenza libera da malattia varia molto in base alla risposta individuale», risponde il professore. «Si è visto che la nuova terapia è particolarmente efficace in alcune forme di LMA con caratteristiche citogenetiche associate a una prognosi favorevole. Quindi, questo anticorpo, in certi casi può rappresentare un formidabile alleato della chemioterapia. Con il più il vantaggio di avere un basso profilo di tossicità rispetto agli antitumorali tradizionali».
Le prospettive future
Importanti e promettenti novità sono rappresentate anche da quei farmaci a bersaglio molecolare capaci di colpire una specifica mutazione genetica, nominata FLT3, che le cellule della LMA esprimono nel 25-30 per cento dei casi. Un esempio è rappresentato dagli inibitori della tirosin chinasi, proteina utile alla sopravvivenza e alla replicazione delle cellule leucemiche.
Altri farmaci di nuova generazione, invece, sono in grado di colpire specifici passaggi della “vita metabolica” delle cellule maligne. È il caso della molecola farmacologica Venetoclax che riattiva nelle cellule neoplastiche i fisiologici meccanismi di morte programmata (apoptosi). Ovviamente, la scelta di una terapia piuttosto che un'altra va presa dall'ematologo in base all'età del paziente e alle caratteristiche biologiche del tumore.
articolo pubblicato a luglio 2020
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