di Maria Santoro
Il paleopatologo Francesco Maria Galassi, docente alla Flinder’s University di Adelaide, in Australia, ci racconta qui i corsi e ricorsi di pandemie ed epidemie nella storia.
Professore, quando è cominciata la battaglia tra uomo e microorganismi?
Circa 12mila anni fa, con la rivoluzione agricola neolitica, cioè quando le comunità nomadi del Paleolitico diventarono sedentarie e cominciarono a dedicarsi alla coltivazione e all’allevamento. Segnò l’inizio delle zoonosi (malattie trasmesse all’uomo dagli animali), favorite dalla promiscuità tra uomini e bestiame. Il primo spillover (il salto di specie) della storia risale a circa 4.900 anni fa. Grazie a uno studio paleomolecolare sui resti di contadini neolitici in Svezia è stata dimostrata la presenza del batterio Yersinia pestis, responsabile di numerose epidemie e trasmesso dal morso della pulce dei ratti.
Nelle epidemie ogni volta c’è la ricerca del “capro espiatorio”?
Sì, sempre. Un esempio è l’epidemia di sifilide del 1495, che raggiunse Napoli dalle Americhe. Quando la città passò al potere francese esplose la malattia e la colpa venne attribuita dai francesi alle donne napoletane, elette simbolo della tentazione sessuale e del peccato. I napoletani incolparono invece i francesi ed è per questo che la malattia passò alla storia come mal francese o morbo gallico. Ma cercare gli “untori” e riversare su di essi la nostra frustrazione e disperazione non favorisce la conclusione di una pandemia, serve solo a esacerbare i conflitti tra gli uomini.
Le malattie infettive sono state sempre oggetto di stigma?
Sempre, ad eccezione della Peste Bianca – la tubercolosi. Nel XIX secolo in Inghilterra essere affetti da questa malattia era un segno distintivo che oggi definiremmo “glamour”, poiché gli effetti patologici combaciavano con i canoni di bellezza dell’epoca, ovvero magrezza, pallore, colorito acceso delle labbra. Questa stessa malattia tolse la vita nel 1763 al commediografo Molière al termine della pièce Il malato immaginario. Lui stesso recitava nel ruolo di un ipocondriaco ma collassò al termine dell’interpretazione per i violenti e purtroppo non contraffatti. Morì poco dopo.
Anche nel passato c’era chi trasgrediva le regole anticontagio?
C’erano cittadini che esorcizzavano la paura della morte repentina godendosi la vita tra sollazzi e vizi di ogni sorta, come testimoniano lo storico Tucidide durante la peste di Atene e Giovanni Boccaccio nel Decamerone. Il rifiuto delle restrizioni prescritte ai malati ritorna ne I Promessi Sposi, quando Don Rodrigo con i bubboni sul corpo preferisce chiedere al Griso di chiamare un chirurgo che non denunciava gli appestati in cambio di denaro, pur di non essere trasportato al lazzaretto dai monatti.
Casi di governanti imprudenti durante la pandemia?
Per esempio Giustiniano. La sua gestione è nota per l’inclemenza nei confronti dei cittadini, dai quali pretese la riscossione delle tasse nonostante la carestia, e per l’imprudenza, quando dichiarò conclusa prematuramente l’epidemia attraverso la legge del 23 marzo 543 che proclamava terminato “l’insegnamento di Dio”. Molti governanti hanno oscillato tra la priorità di salvare le vite umane e l’esigenza di preservare l’economia attribuendosi indebitamente la facoltà di stabilire la fine di un’epidemia nonostante le evidenze scientifiche.
Qualche esempio di arroganza accademica tra i medici del passato?
Uno in particolare: Mercuriale. Nel 1576 fu chiamato dalla Serenissima per un consulto sulla situazione sanitaria compromessa. Senza visitare alcun paziente escluse la diagnosi di peste e confermò quella di generiche “febbri maligne”, sminuendo il fenomeno contagioso e rifiutando le misure preventive della quarantena e dei lazzaretti indicate dai Provveditori della Sanità. Le sue dichiarazioni fecero proseliti. Nonostante il crescente numero di morti, Mercuriale continuò a burlarsi delle misure di distanziamento.
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Articolo pubblicato sul numero n° 4 di Starbene in edicola dal 16 marzo 2021