Dopo il vaccino trivalente e quello quadrivalente, il più “moderno” in circolazione, a breve arriverà il vaccino unico contro l’influenza. A studiarlo è un team di ricercatori dell’Università della Pennsylvania, negli Stati Uniti, con l’obiettivo di mettere a punto un siero che sia efficace contemporaneamente nei confronti di 20 ceppi noti del virus dell’influenza.
La tecnica utilizzata è a RNA messaggero, la stessa usata per i vaccini anti-Covid di Moderna e Pfizer, e che ha impresso una svolta in campo medico. Anche in campo oncologico, infatti, potrebbero arrivare “vaccini” contro diversi tumori, anche se agirebbero contro la malattia invece che prevenirla.
Il vaccino unico antinfluenzale: cos’è
A spiegare a cosa stiano lavorando i ricercatori americani è stato il primo responsabile dello studio, l’immunologo Scott Hensley, che all’emittente canadese CBC ha chiarito: «Immaginate se la popolazione fosse stata prima vaccinata con questo prodotto. Ciò che si vedrebbe non è necessariamente una protezione contro l’infezione da parte di nuovi ceppi, ma una riduzione dei ricoveri e delle malattie gravi. Questo è il nostro obiettivo principale». Ridurre l’incidenza e la portata dell’influenza stagionale, dunque, è lo scopo del nuovo vaccino, che garantirebbe una copertura maggiore non solo a livello quantitativo (per numero di ceppi di virus), ma anche nel tempo.
Una protezione più lunga contro l’influenza
«Si tratta sicuramente di una buona notizia perché offrirebbe una protezione contro l'influenza più duratura nel tempo», commenta Massimo Ciccozzi, epidemiologo dell’Università Campus Biomedico di Roma. «Per essere più chiari: invece che doversi vaccinare annualmente contro l’influenza stagionale, si potrebbe prevedere un richiamo ogni 3 o 4 anni. Questo lasso di tempo, naturalmente, sarà da verificare una volta terminato lo studio».
Cosa cambia rispetto alla campagna vaccinale attuale
Al momento il vaccino antinfluenzale viene offerto ogni anno a partire da settembre, in particolare per le categorie di soggetti più fragili, come anziani e grandi anziani, immunodepressi, cardiopatici, eccetera. L’Organizzazione mondiale della Sanità, infatti, ogni sei mesi valuta i dati ricevuti dalle autorità sanitarie delle epidemie influenzali nei diversi Paesi nel mondo per identificare i ceppi più diffusi e permettere dunque alle aziende farmaceutiche di mettere a punto vaccini il più possibile mirati.
Finora ne sono stati realizzati di trivalenti, in grado di coprire contro due ceppi di influenza A e un ceppo di influenza B, o quadrivalenti (con l’aggiunta di un secondo ceppo di influenza di tipo B). Adesso l’obiettivo è di proteggere nei confronti di tutti i 20 principali ceppi.
La svolta con i vaccini anti-Covid a RNA
Questo traguardo potrà essere reso possibile grazie alla tecnica a RNA messaggero, la stessa alla base dei vaccini anti-Covid di Moderna e Pfizer. Conoscendo il genoma del virus da colpire, infatti, è possibile produrre un filamento di RNA (cioè una variante del DNA) in grado di far arrivare alle cellule il codice genetico di un frammento del virus da colpire. In questo modo l’organismo inizia a sollecitare il sistema immunitario per proteggerlo dal virus nel caso in cui lo incontri.
«È lo stesso principio utilizzato proprio contro il Covid: invece che reagire nei confronti della proteina Spike (la chiave d’accesso del coronavirus nel nostro corpo, che il nostro organismo riconosce come corpo estraneo), il vaccino reagirebbe contro la emoagglutinina», afferma Ciccozzi. «Più precisamente agirebbe nei confronti di una sola delle due parti di cui è costituita e che sarebbe contenuta nel vaccino a RNA messaggero, ossia quella meno variabile. Una volta memorizzata, infatti, il sistema immunitario sarebbe in grado di riconoscerla e reagire. L’idea è buona, contro il Covid ha funzionato, ora occorrerà capire in concreto quanto risulterà efficace e duratura la protezione».
A chi è destinato il nuovo vaccino unico
«Come per le precedenti campagne antinfluenzali, il target dei destinatari del nuovo vaccino unico non cambierebbe: si tratta di persone fragili, che hanno maggior bisogno di protezione, in particolare anziani e immunodepressi, o persone con specifiche patologie. Certo non sarebbe un vaccino “universale” da proporre a tutta la popolazione, non avrebbe senso pensare di offrirlo anche ai giovani perché non ce ne sarebbe bisogno», osserva l’epidemiologo.
Un vaccino anche contro il tumore?
Da tempo si lavora anche a un vaccino contro alcune forme di tumori, che potrebbe sfruttare la stessa tecnica a RNA messaggero utilizzata contro il Covid. Questa ulteriore accelerazione potrebbe aiutare a trovare un siero anche contro le patologie oncologiche? «Sicuramente la tecnica a RNA messaggero ha impresso una svolta anche in questo ambito, ma attenzione: non si tratterebbe comunque di vaccini terapeutici. In realtà il termine vaccino è fuorviante: non sarebbe un prodotto da offrire a persone sane per non farle ammalare, bensì di una sorta di terapia da affiancare a quelle già esistenti», chiarisce Ciccozzi.
«A oggi l’immunoterapia permette di stimolare il sistema immunitario, producendo anticorpi. Questi, però, sono indifferenziati, un po’ contro tutte le cellule. La tecnica a RNA, invece, potrebbe permettere di stimolare la produzione di anticorpi specifici e sarebbe un coadiuvante della terapia già in essere. Per fare un esempio: è come paragonare una partita a calcio a 11 e un match a tennis, uno contro uno. L’eventuale “vaccino antitumorale” sarebbe come la partita a tennis: uno scontro diretto contro le cellule malate».
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