Sostituire il medico di famiglia in Italia sta diventando una missione impossibile. Dopo aver superato varie difficoltà per accedere ai dati sui professionisti disponibili, spesso ci si deve accontentare di un dottore che riceve dall’altra parte della città e, per giunta, sta per andare in pensione. Altro che "libera scelta". La decisione è spesso obbligata e tra pochissimi camici bianchi: in città come Trento, Milano, Torino, Bologna e Cagliari solo un medico di base su quattro, nella migliore delle ipotesi, ha posti disponibili, come svela un’inchiesta di Altroconsumo.
Il deserto dei medici di famiglia
La carenza di medici di base sta peggiorando negli ultimi anni. Nel 2025 - secondo le stime dell’Agenas (l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) - ce ne saranno solo 36.628, contro gli oltre 46mila del 2002 e i 40mila del 2021. È in corso una vera e propria desertificazione, aggravata dall’esodo di molti professionisti che vanno in pensione senza che ci sia un adeguato ricambio di colleghi giovani.
Altroconsumo a giugno scorso ha monitorato la situazione in ventidue città appartenenti a undici regioni d’Italia (Piemonte, Lombardia, Trentino Alto Adige, Veneto, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Puglia e Sardegna). Lo studio considera per ogni regione il capoluogo (eccetto il Veneto, in cui si valuta Padova, e Roma, dove si considera la Asl 1) e un comune più piccolo.
I dottori vicini sono spesso un miraggio
L’associazione dei consumatori si è posta nei panni di un cittadino che voglia cambiare medico e lo cerchi nelle vicinanze della propria abitazione, ovvero nel raggio di 2 km. Nelle situazioni peggiori non si trova alcun medico disponibile a questa distanza da casa, o se ne trova al massimo uno. Accade ad esempio in Trentino, a Pergine Valsugana e Trento, ma anche a Legnaro (in provincia di Padova), a Camaiore (vicino Lucca) e a Trentola Ducenta (nelle vicinanze di Caserta).
La situazione va appena meglio nei territori in cui a 2 km da casa è possibile trovare da due a quattro camici bianchi disponibili, come accade nel municipio 3 di Milano e a Vigevano (in provincia di Pavia) o ancora a Ivrea, a Padova (nella zona di via Vigonovese), a Imola (in provincia di Bologna) e andando verso Sud e Isole a Ostuni (Brindisi) e ad Alghero (Sassari).
Lo studio rileva infine in alcuni casi una buona disponibilità, che si traduce nella possibilità per un cittadino di poter scegliere tra cinque o sei medici liberi a due km dalla propria residenza. Come avviene a Torino (in zona piazza Guala), a Genova, in zona Pre Molo Maddalena, a Verrazze (sempre provincia di Genova), a Bologna in zona via Pier de’ Crescenzi, a Firenze (zona via Leonardo da Vinci), a Roma e Guidonia, a Napoli (via Cotronei), Bari in via Giulio Petroni e Cagliari (via Crispi).
Se ne deduce che un compromesso, talvolta necessario, per riuscire a cambiare medico è dunque accontentarsi di un professionista che riceve dall’altra parte della città. Non proprio l’ideale per una persona anziana o con mobilità ridotta.
Le località in cui trovare un dottore è quasi impossibile
Se invece si va oltre il proprio quartiere e si considera l’intera città, quanti dottori con possibilità di accogliere nuovi assistiti ci sono sul totale dei medici di base presenti nell’intera area urbana? In alcune città si scopre che solo un medico su quattro ha posto per nuovi pazienti. Gli altri sono tutti "massimalisti", hanno cioè già raggiunto il massimale di nuovi assistiti.
Le carenze peggiori si registrano a Trento (solo il 7% di medici disponibili sul totale), Milano (11%), Torino (17%), Bologna (20%) e Cagliari (23%).
Sui portali sanitari alcuni dati mancano
Prima ancora della carenza di personale sanitario, i cittadini devono scontrarsi con la difficoltà di reperire le informazioni necessarie a decidere sul dottore più adatto al caso proprio. La simulazione è stata effettuata con una ricerca online, anche perché diversi uffici hanno limitato gli accessi allo sportello.
Sui portali sanitari delle varie Regioni – rivela il report – è sempre indicato l’indirizzo dello studio e l’orario di ricevimento. Invece l’età del medico appare di rado (si legge solo in Puglia, Emilia e Campania) e sarebbe invece indispensabile per capire se sta per cessare dal servizio. Inoltre solo Puglia, Sardegna e Veneto pubblicano il numero di assistiti di ciascun medico, che potrebbero essere anche altri 1.799 (1.800 è infatti il numero massimo di pazienti in molte zone d’Italia).
Perché ci sono pochi medici di base
In realtà la carenza di medici di base è un evento tutt’altro che imprevedibile – evidenzia l’associazione dei consumatori – dovuto a una cattiva programmazione da parte degli ultimi governi i quali non si sono preoccupati di rimpiazzare i tanti dottori pensionandi assumendo un numero adeguato di medici. Per correggere il tiro nel 2019 il ministero della Salute ha sbloccato il turnover (portando le assunzioni possibili a un + 10%) e aumentando il numero dei posti nelle scuole di specializzazione. Ma questa riforma non produrrà effetti prima dei 4-5 anni necessari a concludere i percorsi di studi.
A ciò si aggiunge – sempre secondo Altroconsumo - la scarsa attrattività della formazione in medicina generale, che si è cercato di rendere più accattivante: nel 2022 sono state stanziate 900 borse di studio in più grazie ai fondi PNRR per tre anni. In attesa che arrivino i nuovi medici si sta mettendo una toppa al buco dando facoltà alle Regioni di affidare “nelle aree disagiate” a ogni medico di famiglia fino a un massimo di 1.800 assistiti (prima erano 1.500).
Come migliorare la situazione
Cosa può fare dunque l’Italia per evitare in futuro di ritrovarsi ancora in questa situazione di disagio? L’abbiamo chiesto a Giuseppe Moscelli, docente associato (reader) di Economia all'Università del Surrey (UK), esperto di economia della salute.
«Governo e Regioni hanno più opzioni fattibili per evitare simili crisi, ma occorrono volontà politica e buona organizzazione», chiarisce Moscelli. «Serve anzitutto rendere più attrattivi i contratti di medicina di base, ad esempio con incentivi monetari che premino i dottori più abili a curare i pazienti ed evitare ospedalizzazioni per condizioni di salute di bassa e media gravità. Altri incentivi in denaro potrebbero andare ai medici che si stabiliscono in territori con carenza di personale. Può tornare utile diminuire la burocrazia superflua a cui i dottori sono soggetti per la cura dei propri pazienti e la conduzione dell’attività. In sostanza, rendere più attrattiva la professione. Infine, inserire stanziamenti di bilancio protetti per garantire le assunzioni nel settore sanitario ed evitare che siano bloccate da motivi burocratici e finanziari».
Gli altri Paesi Ue e il Regno Unito si trovano in una situazione più virtuosa rispetto all’Italia dal punto di vista dell’assistenza primaria sul territorio. Cosa potremmo copiare dal sistema inglese? «Nel National Health Service - prosegue Moscelli - i medici di base ricevono incentivi monetari legati alle performance assistenziali. Inoltre, sono spesso coadiuvati da infermieri che possono prescrivere medicinali per i pazienti con patologie più lievi o che necessitano solo di certificati medici. In passato ci sono state campagne di potenziamento della medicina di base nelle aree territoriali con più carenza. Si potrebbe prendere spunto da alcune di queste strategie. Anche se la situazione non è rosea neanche in Inghilterra. Sarebbe interessante vedere soluzioni escogitate in Italia da esportare all'estero, ad esempio, impiegando i fondi PNRR».
2 novembre 2023
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