Due studi scientifici pubblicati sulla rivista Nature Medicine riportano sulla cresta dell’onda la psilocibina, un principio attivo contenuto in alcune varietà di funghi allucinogeni (funghi con effetti psichedelici, come allucinazioni e alterazioni percettive).
Secondo i risultati, la psilocibina potrebbe avere un effetto positivo sull’umore. In parole semplici, l’utilizzo di questa sostanza sembrerebbe determinare una sorta di “reset” del cervello, riportandolo alle condizioni anteriori all’insorgenza della depressione, quindi a essere meno riverso su sé stesso e maggiormente disposto nei confronti del mondo esterno.
I risultati degli studi
La psilocibina è stata confrontata in un piccolo gruppo di pazienti depressi con due modalità differenti. Nel primo studio, i ricercatori hanno suddiviso i volontari in due gruppi: il primo ha assunto la psilocibina, l’altro un placebo. Nel secondo studio, invece, il confronto è stato tra psilocibina ed escitalopram, antidepressivo inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina. Tutte le persone che hanno partecipato sono state sottoposte a risonanza magnetica, per valutare le risposte a livello cerebrale.
Dai risultati emersi sembra che si verifichino modificazioni nelle connessioni delle aree cerebrali: sarebbe collegato a una riduzione del sintomi depressivi, a favore del benessere psicologico con un nuovo meccanismo d’azione. Il follow up poi avrebbe evidenziato il protrarsi degli effetti sulle connessioni a distanza di tre settimane dal trattamento, con benefici evidenziati solo in chi ha ricevuto la psilocibina.
Sono in corso ulteriori studi checoinvolgonopazienti con fragilità psicologica secondaria a una malattia. Si tratta, per esempio, dei pazienti oncologici. Alcune evidenze suggerirebbero che la psilocibina potrebbe avere effetti contro l’ansia e lo stress psicofisico, condizioni che si manifestano spesso nel corso delle terapie oncologiche.
Questi studi, aprono la strada a nuove possibilità di trattamento della depressione? «È presto per dirlo», risponde Enrico Zanalda, Direttore del Dipartimento di salute mentale ASL TO3 & AOU San Luigi Gonzaga di Torino e Co-presidente della Società Italiana di Psichiatria. «Dalle prime indicazioni della ricerca si deve passare a ulteriori indagini, sia per approfondire i meccanismi attraverso i quali la psilocibina determina questi cambiamenti, sia per verificarla in un maggior numero di soggetti, per periodi prolungati, per osservare le eventuali modificazioni nel tempo, gli effetti collaterali e la capacità nel prevenire le ricadute degli episodi depressivi che nella in questa patologia sono la regola».
Pericoloso il fai-da-te
In attesa dei risultati di ulteriori studi, è in ogni caso assolutamente sconsigliata e vietata l’autoprescrizione. «Ad oggi è ancora un punto interrogativo l’effetto che la psilocibina può determinare soprattutto nell’uso prolungato come generalmente si deve effettuare con gli attuali antidepressivi», chiarisce Zanalda «In sostanza, non è sufficientemente nota la conseguenza di questo “reset” a livello cerebrale. Non sappiamo se la persona ritorna allo stato precedente all’episodio depressivo oppure giunge a una condizione differente di cui non conosciamo l’evoluzione».
Inoltre, la psilocibina contenuta in natura nei funghi non è stabilizzata nella formulazione e nel dosaggio e il consumo al di fuori di uno studio controllato è estremamente pericoloso. I soggetti selezionati negli studi pubblicati erano tutti attentamente selezionati e strettamente seguiti anche dal punto di vista psicoterapeutico al fine di poter delimitare al massimo lo specifico effetto del principio studiato.
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