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Tumore al seno: se dopo l’intervento si gonfia il braccio

L’eliminazione dei linfonodi dal cavo ascellare sconvolge il sistema di drenaggio linfatico. Ecco come migliorare grazie alla microchirurgia

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L'8% delle donne che ha subìto un intervento di tumore al seno va incontro a linfedema: un fastidioso gonfiore del braccio operato, che dall’ascella si dirama fino al polso e alle dita provocando pesantezza, dolore, crampi, formicoli e limitazione dei movimenti. Stringere un bicchiere, avvitare un tappo o portare il sacchetto della spesa diventano imprese difficili.

Senza contare che alcune donne, dopo aver sottoposto il braccio a stress ripetuti, vanno incontro a linfangiti, episodi di febbre dovuti all’infiammazione dei vasi linfatici.

La causa del linfedema? «Durante l’intervento di mastectomia (asportazione totale della mammella) o di quadrantectomia (asportazione di una sola parte), possono venire tolti dei linfonodi dal cavo ascellare, mandando in tilt il sistema di drenaggio linfatico», spiega il professor Giorgio De Santis, ordinario di chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica all’Università di Modena-Policlinico universitario.

«Inoltre, se all’intervento segue la radioterapia, per “bombardare” potenziali cellule maligne residue, si provoca spesso un indurimento del tessuto (sclerosi) che ostacola il drenaggio della linfa». 


Come si svolge l'operazione

Per sgonfiare il braccio imbibito di liquidi, fino a ieri si ricorreva a cicli di sedute di linfodrenaggio, potenziate dall’elastocompressione con bendaggi elasticizzati. Da qualche anno è invece possibile risolvere o migliorare il problema con un intervento chirurgico chiamato Lva (acronimo di Lymphatic venous anastomosis).

«Visualizzando i vasi linfatici rimasti ancora aperti grazie a un nuovo esame (vedi qui di seguito), il chirurgo pratica lungo il braccio 4-6 microincisioni di un centimetro per creare uno shunt (deviazione) linfatico-venoso.

Quindi, devia il corso della linfa verso una piccola vena contigua, in modo da bypassare” l’ingorgo che si è venuto a creare a livello dell’indurimento ascellare. Collegando i vasi linfatici con le vene, tramite un delicato lavoro di microchirurgia (i vasi sono finissimi), si fa così defluire la linfa nel sangue venoso al fine di rimuovere e aggirare gli ostacoli alla sua circolazione».

L’intervento di cesello, degno di un orafo, dura 4-5 ore, si esegue in anestesia locale sotto sedazione e, nel giro di un mese un mezzo, si riescono a vedere i primi miglioramenti che possono raggiungere il 70% dopo qualche mese» 


Il nuovo esame che “vede” i vasi linfatici

Per visualizzare la complessa rete di vasi linfatici, fino a ieri si usava la linfoscintigrafia. Ancora più all’avanguardia è oggi latecnica chiamata indocianinografia, che  prevede l’iniezione negli spazi tra le dita di un mezzo di contrasto color verde fluorescente: l’indocianina.

«Dagli spazi interdigitali, il liquido si espande nel braccio e consente al chirurgo di visualizzare su un monitor computerizzato, tramite una lampada a fluorescenza, i vasi ancora aperti che è possibile collegare alle vene e quelli, invece, chiusi o danneggiati», spiega il professor De Santis.

«Solo così è possibile realizzare quei fini interventi “idraulici” che consentono di dare scacco macco al linfedema».


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Articolo pubblicato sul n. 7 di Starbene in edicola dal 30/01/2018


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